Presunto jihadista di Fiesse La procura chiude l’indagine
A Dibrani contestata l’apologia di terrorismo islamico
La Procura di Brescia ha raccolto tutti gli elementi utili e ha dichiarato formalmente chiusa l’indagine a carico di Gaffur Dibrani, il giovane kosovaro accusato di apologia del terrorismo islamico. Una vicenda intessuta di colpi di scena e botta e risposta tra Procura, Tribunale del Riesame e Cassazione che potrebbe ora avere una svolta a breve per l’avvio dell’iter processuale.
Il 25enne, residente da tempo con la famiglia a Fiesse, era stato arrestato a novembre del 2016 dagli uomini della Digos che nei verbali d’indagine avevano trascritto contatti via web attraverso i quali sosteneva la Jihad e intenti di radicalizzazione nei confronti del figlioletto di 2 anni. La sua ambizione, secondo gli inquirenti, era il martirio, tanto che l’operazione che aveva portato al suo arresto era stata chiamata «Tut Elimi», «prendi la mia mano e andiamo al Jihad» in arabo, titolo di un video inneggiante alla guerra santa – che era stato spunto per l’avvio delle indagini - pubblicato dallo stesso Dibrani sul suo profilo Facebook. Proclamandosi innocente — « non volevo fare pubblicità al terrorismo» — , il 25enne, difeso dall’avvocato Marco Capra, aveva passato quindici giorni in carcere e poi il Tribunale del Riesame lo aveva rimesso in libertà per la mancanza di gravi indizi di colpevolezza perché «l’evocazione della guerra santa non necessariamente si risolve nella creazione di strutture organizzative volte al compimento di atti terroristici», si leggeva nell’ordinanza. Una posizione, questa, già sostenuta dal Riesame nei confronti di Alban e Elvis Elezi, zio e nipote, accusati di reclutamento di foreign fighter, e Anas El Aboubi, che invece, per gli investigatori, progettava attentati.
Dibrani, in libertà da un paio di settimane, era stato espulso con decreto del Ministro dell’Interno perché ritenuto soggetto pericoloso, mentre il procuratore aggiunto, Carlo Nocerino, titolare dell’inchiesta, contro quella scarcerazione, aveva presentato ricorso alla Cassazione che aveva disposto che il Riesame rivalutasse il caso. Si era arrivati però a un’altra sentenza di scarcerazione e a un nuovo ricorso.
Poco più di un mese fa i giudici romani avevano ribadito la necessità di mantenere invece la custodia cautelare in carcere e sentenziato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza affermando che il Riesame «ha ridimensionato la portata apologetica di due video» (uno pubblicato e l’altro destinatario di un “like” su Facebook), senza tenere presente «il rischio effettivo della consumazione di altri reati derivanti dall’attività di propaganda».