LA PINACOTECA RITROVATA
Non si avverte fisicamente. Le mille tribolazioni della quotidianità paiono confinarla nell’area marginale della nostra vita collettiva. Ma al contrario la riapertura della Pinacoteca è attesa, nella coscienza della città con intima trepidazione. La sua chiusura, per tanti anni, ci ha reso orfani. Anche senza saperlo. Lo è stato nelle cose. Non c’è bisogno di esserne stati fruitori, frequentatori assidui od occasionali. E nemmeno di amare l’arte e i capolavori che la Pinacoteca custodisce per averne patito l’assenza. Vero è che la città era amputata. Monca di una parte di sé. Perché li sono custoditi i nostri caratteri. Quelli popolari come le figure del Romanino, o quelli ordinati, ambiziosi come le pitture del Moretto e quelli dall’anima sublime dei bisogni dello spirito come i colori delle tele di Savoldo. E dunque ci basta sapere che qualcuno in quelle sale entra anche per noi, le attraversa con curiosità, le guarda come una autentica ricchezza pubblica per diventare una città più colta, più consapevole, meno gretta. Gli è che l’arte è la nostra alterità, la proiezione di noi all’infinito, il legame tra le generazioni, la radice del nostro abitare, del nostro stare insieme. Anche solo il transito in quella ombreggiata piazza da cui si accede alla pinacoteca ha sempre conservato il fascino di un pausa civile, il bisogno di sosta, l’invito alla riflessione. La pinacoteca è solo un contenitore. Ma è lo strumento di base per conservare e custodire il meglio dell’arte prodotta o collezionata nella storia della città. Ci fu un tempo iconoclasta, negli anni Settanta, in cui era in discussione anche la fine dei musei, considerati una chiusura e dunque una esclusione dal godimento pubblico e gratuito dell’arte. Fu una stagione che si sconfisse da sola, sollevò bisogni cui non seppe dare risposte. E lasciò le arti al loro ruolo,alla loro funzione. Che è quella dei «classici». Che ci leggono più di quanto noi li leggiamo. Significa che davanti ad un capolavoro della pittura, ad un quadro che ci emoziona, ogni volta quel quadro ci chiede se abbiamo capito, se abbiamo imparato, se ci siamo arricchiti nello spirito. Per questo la Pinacoteca, dentro la città, è una grande occasione. E non averla avuta a portata di mano, è stata una privazione. La Tosio Martinengo che fra qualche giorno sarà restituita al tempo della città, non ha mai avuto molti visitatori. Non era nelle abitudini dei bresciani. Ma era una loro significativa carta d’identità. E d ora riprende il suo ruolo decisivo.