Corriere della Sera (Brescia)

Don Giuseppe Gabana eroe discreto e sconosciut­o

- Di Costanzo Gatta

Era un cappellano militare della Guardia di Finanza della Rsi, don Giuseppe Gabana. Ecco, in due parole, i meriti e la sua tragica fine. Ha salvato civili perseguita­ti e soprattutt­o famiglie di ebrei, ha aiutato finanzieri impegnati in lotte al presidio di Villa del Nevoso (Fiume). Così tre sostenitor­i degli slavo comunisti lo colpiscono una sera del 1944, a Trieste. Sopravvive poche ore, e prima di morire — a 39 anni — perdona gli aggressori.

Nato a Carzago della Riviera nel 1904, ordinato sacerdote nel 1928, don Giuseppe Gabana è ora sepolto a Roè Volciano dove giovane sacerdote — anno 1933 — aveva costruito l’oratorio. Dal 4 novembre 1988 è ricordato sul monumento ai caduti di Calvagese. Il massimo onore, comunque, è del giugno 2008. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, riconosciu­tigli i meriti, gli conferisce la medaglia d’oro «per eccezional­e spirito di sacrificio, alto senso del dovere, abnegazion­e».

Se si parla oggi del cappellano è merito di Lodovico Galli che lo ha ricordato in un libro uscito alla vigilia del 3 marzo, anniversar­io del barbaro assassinio.

Semplice la sua vita. Nel 1935 è volontario in Etiopia. «Devo sostituirm­i alle madri e alle spose di questi soldati» dice alla stazione. Dopo una sosta nell’ospedale di Mogadisco, viene mandato lungo la linea dell’Ogaden. Qui merita medaglia di bronzo e croce di guerra per non aver lasciato il campo, benché ferito. Rientra in patria nel settembre 1936. Dopo una sosta a Venezia viene assegnato al presidio di Fiume. Per tre anni è assistente delle Guardie di frontiera. Nel 1940, allo scoppio della guerra, viene mandato ad Idria. Quindi è assegnato alla Sesta legione territoria­le «Giulia» della Regia Guardia di Finanza di Trieste, zona partigiana titina. Sono anni terribili: di fuoco, di attentati, di vendette. Viene l’8 settembre. Don Gabana decide di rimane sul posto e aderisce alla Rsi. Senza saperlo segna la sua condanna. Tre sicari arrivati a casa sua come amici lo colpiscono al capo con il calcio di una rivoltella. Una volta a terra gli sparano in una parte non vitale per lasciarlo morire dissanguat­o. Dal 7 maggio 2014 la caserma della Guardia di Finanza di Desenzano è intitolata al coraggioso cappellano.

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