I vantaggi e gli svantaggi di un ritorno alla £ira
Nel libro di Morelli e Signorelli, docenti di Politica Economica
Euro sì, euro no. Un mantra che negli ultimi tempi riappare con sempre maggiore insistenza sulla scena politica ed economica del nostro paese. Con risultati assai scarsi per il manicheismo di fondo. Difesa e accusa sono ad oltranza con il risultato di confondere più che illuminare. Il bisogno di chiarezza e, in modo particolare, di informazioni adeguate risulta fondamentale se si vuole comprendere le condizioni attuali e il futuro prossimo. Il libro di Enrico Morelli e Marcello Signorelli – E se l’Italia tornasse alla lira? Vantaggi, costi e rischi (Libreria universitaria edizioni) -, professori di Politica Economica a Brescia e Perugia, ha il pregio non secondario di affrontare questo spinoso problema con chiarezza e profondità analitica.
In poco meno di 200 pagine offre al lettore, anche non specialista, un percorso che lo accompagna attraverso tre momenti: cosa è successo con l’introduzione dell’euro; cosa potrebbe accadere se si ritornasse alla lira; quali possono essere le possibili riforme per superare questo dilemma. Tutti questi aspetti sono analizzati con l’apporto di dati ed analisi che non nascondono luci, ombre e proposte. Da un lato vi sono i benefici della moneta comune legati alla teoria delle aree valutarie ottimali, alla diminuzione dei costi di transazione e all’eliminazione del rischio di cambio; la riduzione dei tassi di interesse e dell’inflazione; i vincoli sui conti pubblici e i vincoli esterni in grado di osservare una più decisa disciplina di bilancio; la possibile integrazione politica fino all’auspicata creazione degli Stati Uniti d’Europa. Dall’altro la perdita del vantaggio del cambio; una politica monetaria slegata alle esigenze dei diversi Stati; il ritorno della speculazione non contro le valute, ma contro il debito pubblico; la mancanza di svalutazioni competitive per proteggere le oscillazione dell’economia; la ricaduta sui prezzi e sui salari; la mancanza di un bilancio e di una politica fiscale comuni. Un’eventuale ritorno alla lira non è escluso a priori, ma gli autori si interrogano su due scenari qualora la situazione rimanga allo stato attuale senza le necessarie modifiche. Un’uscita unilaterale, l’Italexit, oppure la dissoluzione dell’euro e dell’integrazione europea con ricadute pesanti su tutti i paesi interessati. Il ritorno alla moneta nazionale implica una profonda riflessione anche di carattere storico e non solo economico. Giustamente il regime monetario attuale è stato paragonato al Gold Standard ottocentesco e al Dollar Standard di Bretton Woods, terminato nel 1971 con la decisione di Richard Nixon di sopprimere la convertibilità del dollaro. Le affinità, però, finiscono qui. I trattati europei si prestano a interpretazioni assai diverse. Uscire dall’euro non vuol dire abbandonare l’Unione Europea, dal momento che in essa sono operanti undici monete diverse in quanto esistono Stati con deroga e senza deroga, in sostanza con l’euro e senza euro. Inoltre l’adesione
alla moneta unica è su base volontaria e quindi nulla vieta, teoricamente, di abbandonare una moneta per un’altra. Ma non è così facile e l’analisi dei vantaggi e svantaggi offre una panorama articolato e sostenuto, anche in questo caso, da sintetiche ma chiare argomentazioni. I vantaggi sono, ovviamente molto vicini a quelli auspicati dai sostenitori dell’abbandono dell’euro con l’aggiunta di un nuovo ruolo che la banca centrale dovrebbe ritagliarsi per diventare il prestatore di ultima istanza sia delle banche che del governo. Gli svantaggi dipendono, in prima battuta, da come viene organizzato l’abbandono dell’euro e, in seguito, dalla conversione fra le due monete. Per comodità si potrebbe utilizzare una parità, 1 lira=1 euro, e poi affrontare l’inevitabile svalutazione. Inoltre non sono da escludere l’abbandono di capitali stranieri dagli investimenti e la delicata questione della ridenominazione del nostro debito pubblico e privato, oltre l’eventuale corsa agli sportelli e così via.
Il terzo momento è quello di una possibile nuova stagione di riforme dell’attuale sistema per garantire e rafforzare l’idea di appartenenza alla moneta unica. Le proposte sono già state messe in circolazione – politica macroeconomica espansiva, investimenti comuni, eurobond, fiscalità comune e altro. Il dibattito in corso, pur non veramente continuativo, non dimostra grande sensibilità per queste possibili riforme che, alla fine, finiscono per appartenere alla categoria della speranza, più che della certezza. Alla fine, le interessanti pagine del volume portano, a mio avviso, ad un’ulteriore, possibile, riflessione. Dal Settecento in poi, nonostante lo sfortunato tentativo di John Law nella Francia della Reggenza di Luigi XIV, il governo della moneta è, nella quasi totalità, in mani private. Le banche centrali infatti, nella maggior parte dei paesi, hanno funzione pubblica, ma sono istituzioni private. A questo punto, la politica dovrebbe assumersi compiti che sino a questo momento non è stata in grado di affrontare.