Lorandi, nessun nuovo appello
La Corte di Venezia rigetta la richiesta di revisione. L’imputato: non ce la faccio più
La Corte d’appello di Venezia ha dichiarato «inammissibile» l’istanza di revisione della sentenza che, per l’omicidio di Clara Bugna, ha condannato all’ergastolo il marito Bruno Lorandi. Si commuove Lorandi: «Sono stanco, non ce la faccio più» sussurra al suo difensore, l’avvocato Gabriele Magno. Per l’avvocato c’erano indizi sufficienti: il responsabile sarebbe un presunto amante della vittima e c’era una persona che sapeva e ha coperto tutto. Ma, per i giudici, nulla che valga un nuovo processo.
VENEZIA La campanella della piccola aula al secondo piano di palazzo Grimani trilla alle 11.50. Un’ora abbondante in camera di consiglio e la Corte d’appello di Venezia (presidente Gioacchino Michele Termini) dichiara «inammissibile» l’istanza di revisione della sentenza che in via definitiva, per l’omicidio della moglie Clara Bugna, ha condannato all’ergastolo il marito Bruno Lorandi. Che seduto composto nella panca a lui riservata porta la mano destra al volto, sotto gli occhiali, e si commuove. Piangono anche le due sorelle, arrivate da Genova e Trento con la speranza nel cuore. Si abbracciano, si guardano allungando il collo fino al corridoio in cui Bruno scompare scortato dagli agenti della penitenziaria che lo riaccompagneranno nel carcere di Verona.
«Sono stanco, non ce la faccio più» sussurra al suo difensore, l’avvocato Gabriele Magno, all’inizio di un’attesa che sembrava non finire mai. Su quella panca di legno, senza mai nemmeno slacciarsi il giubbotto, le braccia perennemente conserte. E alla domanda «come sta» non risponde. Se non sollevando le spalle e sospirando. Non solo. All’inizio dell’udienza, prima che la parola passi alle parti — il sostituto pg Antonio Giovanni de Lorenzi e i legali di parte civile Vanni e Jacopo Barzellotti chiederanno la conferma della condanna («schiaccianti le tracce di sangue e saliva sul suo pigiama») — l’ex marmista di Nuvolera rilascia dichiarazioni spontanee e ribadisce la sua innocenza. «È da dieci anni che aspetto di sapere chi ha ucciso la mia Clara. Voglio solo la verità». Ma per i giudici la verità è che a uccidere è stato lui. E non basta, al suo avvocato, provare a spiegare quali siano «i nuovi elementi di prova che non sono mai stati approfonditi prima d’ora». Li racconta in tre quarti d’ora. Partendo dalla denuncia di «indagini a senso unico» e passando dai testimoni sentiti negli anni. E che l’hanno portato a introdurre negli atti e in aula una «pista alternativa»: la presunta relazione extraconiugale segreta della vittima e un uomo sulla sessantina che avrebbe avuto tutto l’interesse a ucciderla nel timore che lei rivelasse la loro storia. «Una situazione — spiega l’avvocato Magno — che giustificherebbe un delitto d’impeto». E un movente «molto più forte di quello che è stato attribuito dai giudici a Bruno: avrebbe strangolato la moglie per impedirle di far riaprire le indagini sulla morte del loro figlioletto. Ma anche lui lo voleva». Il nome di questo fantomatico amante «l’abbiamo trovato su un libretto in cui Lorandi e Clara segnavano le spese di casa: aveva un debito di 5 mila euro». Motivo in più, per la difesa, per uccidere. Difesa che in discussione chiede (invano) di sentire una decina di testi — presunto amante compreso — e di analizzare «due delle 28 impronte isolate e rimaste senza nome sulla scena del crimine: se appartenessero a lui? Scopriamolo». Difesa che si spinge oltre, ricordando una camicia da lavoro «misteriosamente comparsa a posteriori nell’armadietto di Clara, per incastrare il marito e far sembrare una messa in scena in casa il posizionamento dell’asse da stiro» e ipotizzando che qualcun altro «sapeva, ma ha finto nulla». Agli atti c’è anche un esposto anonimo, «in cui si dice che Clara Bugna aveva una relazione clandestina: chi l’ha
La parte civile Un’istanza fondata sul nulla: l’aspirazione alla giustizia non va confusa col desiderio di impunità
scritto si faccia avanti», lancia l’appello l’avvocato Magno. Che dopo il verdetto annuncia il ricorso. Per gli avvocati di parte civile Vanni e Jacopo Barzellotti «un esito atteso». Perché «la richiesta di revisione era fondata sul nulla».
La prima telefonata è per Costanzo Bugna, fratello di Clara.
«L’istituto della revisione — chiarisce Vanni Barzellotti — non è previsto dal codice per consentire di spargere insinuazioni e sospetti su persone che nulla hanno a che fare con la tragica morte di Clara. L’aspirazione alla tanto conclamata giustizia non va confusa con il desiderio di impunità: questo risultato non poteva e non doveva arrivare». In sintesi: «I nuovi elementi di prova sono stati dichiarati inconsistenti dalla Corte d’appello di Venezia».