Relitti intrisi di memorie e storia Mahama e la sua Africa lacerata
Lacerati, rammendati, timbrati e rattoppati da migranti nel suo studio, i suoi sacchi di juta intrisi di storie e metafore esotiche e tragiche hanno invaso l’Arsenale alla Biennale di Venezia del 2015. Ora, l’archeologo di relitti Ibrahim Mahama appaga la sua ossessione per le installazioni ciclopiche da APalazzo Gallery (in piazza Tebaldo Brusato), dove ha portato una parete fatta di scatole lise, annerite, affastellate. Dentro, pagine sgualcite dell’Economist, arnesi da calzolaio, pantofole e cianfrusaglie varie. Con «In Dependence» (fino al 31 marzo), l’artista ghanese evoca le lotte indipendentiste, la reificazione dell’uomo, le sue affinità elettive e recondite con la materia e il fascino — o la sudditanza — che subisce dagli oggetti. Ma, in senso fisico, i relitti sfiniti e deformi che compongono questo muro alludono anche alla decadenza e la interpretano come un motivo di ripartenza e di riflessione necessaria per andare oltre. Con quelle scatole vecchie e il loro contenuto insignificante, Mahama rievoca fatti storici, memorie africane, ossimori e tracce di un passato anche personale e intimo che, inevitabilmente, si trascina nel presente, tessendo una relazione. In mostra, anche fotografie scattate nel 2014 ma ancora inedite da cui trapela il dietro il momento dell’idea e l’inizio del lavoro. Il titolo, «In Dependence» , cita in modo palese il romanzo dello scrittore nigeriano Sarah Ldipo Manyinka, pubblicato nel 2008: una storia ambientata nella Nigeria dei primi anni Sessanta, in un’atmosfera inquieta e incerta che Mahama avverte vicina alla sua visione.