Una vita sulle scene
Il libro di Gatta dedicato a Tina Belletti, maestra di danza
L’unica eternità concessa ai mortali è quella di lasciare un seme nella memoria dei posteri. Tina Belletti si è congedata da questo mondo in un giorno di novembre del 2016, lasciando un’eredità di affetti, di ricordi, di riconoscenze, di passioni. Un ultimo volo da libellula il suo, quale era sempre stata. «Le nostre braccia hanno origine dalla schiena perch: un tempo erano ali» ha detto Martha Graham.
Le persone amate lasciano grandi vuoti, un’assenza che è appunto eterna presenza. La prova regina è fornita da un poderoso volume (Tina Belletti. La danza nel cuore di tremila bresciane, Gam editrice, pp. 261, sip) curato da Costanzo Gatta, brescianologo supremo, l’unico in grado di trasformare la «proustatite», quella tendenza comunitaria a volte compiaciuta a ruminare il passato.
Gatta è un collezionista di cronache e notizie, un giornalista curioso come Restif de la Bretonne, nonchè regista, uomo di teatro che conosce la polvere del palcoscenico ma anche e soprattutto lo specchio (delle brame) dei camerini.
Il libro, un tribute to Tina, è una biografia a tutto tondo che racconta la donna, una femmina di carattere dotata di un ego ben visibile, e l’artista di Tersicore, vestale di disciplina e armonia. Gatta, con ironia garbata, liquida subito la questione sentimentale, il côté privato (la Signora e i suoi mariti) per concentrasi sulla missione, leggasi una vita in carriera. La Belletti era nata nel 1922 in una casa di ringhiera di Milano. Un’infanzia la sua, tenuta in sordina negli amarcord a causa della latitanza del padre biologico (il cognome viene assunto dal marito della madre, un «angelo custode» per la Tina). Ma questa è un’ombra che non frena l’energia, il «fortissimamente volli» della ragazzina che ha le idee chiare su quello che vuol diventare: a dieci anni è una spinazitt, una «spinacina», una allieva della Scuola scaligera, solo qualche anno dopo sarà prima ballerina in quello che è il Tempio della danza e della musica.
Un giorno, siamo nel 1940, la Tina prende il treno e scende a Roma per presentarsi alla regia scuola di danza di Jia Ruskaja, danzatrice russa, coreografa e insegnante: un modello e un mito per la giovane milanese, che così la descrive «Era una Isadora Duncan viva. Più che una ballerina era un’orchidea bianca».
Nel 1943 la Belletti ottiene il diploma d’insegnante. Era bella, aveva le gambe slanciate, il futuro le aveva promesso le luci della ribalta, ma nel frattempo l’Italia era nella fase più critica della guerra. La Tina non aveva mai negato la sua simpatia per il fascismo delle colonie e dei treni in orario, ma disdegnava la barbarie del conflitto e delle leggi razziali. Quello scempio in Piazzale Loreto la riempì d’orrore. La guerra è una ladra di anni e giovinezze.
Nella Milano del dopoguerra la Belletti sceglie la scuola, il progetto di formazione a lungo termine, predicando il vangelo didattico della scarpetta rossa. Dopo gli incarichi sociali, sindacali e l’insegnamento, firma le coreografie per l’Oreste di Vittorio Gassman ed Elena Zareschi, lo spettacolo che aveva debuttato al Capitolium di Brescia. A seguire trova nella nostra città la sua residenza-baricentro, dove ha insegnato e coreografato alla Forza e Costanza dal 1968 fino al 1995, senza dimenticare le sue attività in
Il volume Racconta la donna, una femmina di carattere dotata di un ego ben visibile, e la ballerina
L’infanzia Era nata nel 1922 in una casa di ringhiera di Milano, il padre biologico si dileguò
La formazione Studiò alla scuola di danza di Jia Ruskaja, danzatrice russa, coreografa, insegnante
In città A Brescia ha insegnato e coreografato alla Forza e Costanza dal 1968 fino al 1995
trasferta come i Concerti di Villa Carlotta nello splendido scenario del Lago di Como. In questo trentennio è racchiuso il senso profondo della sua esistenza e del suo magistero.
Il libro che documenta e inventaria tutto il possibile: allestimenti, saggi, riflessioni, pronunciamenti, aneddoti, amabili gossip e materiale fotografico. Un libro che ribadisce l’acribia del suo curatore e nel contempo è testimonianza corale di tutti coloro che ricordano la lezione di Tina Belletti, prima donna con le sue frivolezze e i suoi furori, professionista che ha tramandato la moralità della bellezza e del rigore del metodo. A Brescia ha rappresentato la danza per antonomasia, ha alimentato il talento per la madre di tutte le arti, quella che mediante il corpo organizza lo spazio e ritma il tempo.
Tina Belletti, da étoile, è andata ad abitare in cielo. E le stelle ci stanno a guardare.