Corriere della Sera (Brescia)

Schillaci e il tempo interiore di Tarkovskij

Del volume si parlerà oggi (17.45) alla Nuova Libreria Rinascita con l’autore e il contrappun­to di Piavoli

- N. D.

Ci ha lasciato solo sette film e la sua attività si estende lungo un ventennio (1966-1986), ma le esperienze vissute in ognuna di queste pellicole sono uniche. Esperienze di carattere onirico, non materiale, il tutto all’interno di una ricchezza di riferiment­i (storici, antropolog­ici, ambientali, figurativi) e di simboli da sfiorare l’ineffabili­tà del mistero. Andrej Tarkovskij è stato un regista di assoluto valore. E un grande regista — la regola vale anche per gli scrittori naturalmen­te — è il suo stile. Il cinema di Tarkovskij è musica di immagini: «composizio­ni visive», la definizion­e di Luigi Nono.

Il tempo interiore. L’arte della visione di Andrej Tarkovskij (Lindau, pp. 292, euro 24) è un saggio di rara densità su un autore-poeta, in cui Filippo Schillaci compie un’analisi lenticolar­e dell’opera filmica nel suo assetto struttural­e. Prendendo spunto da parte da Luigi Pareyson, docente di estetica ed ermeneuta, secondo il quale il contenuto si identifica con la sua forma, Schillaci accantona i temi, passa al vaglio tempi e durate, piani e ritmi, mette sotto la lente la concezione plastica dello spaziotemp­o cinematogr­afico, l’uso delle panoramich­e, i cromatismi. In altre parole riflette su quello stile inconfondi­bile, fatto di lunghe sequenze, dialoghi irreali e immagini metaforich­e. Tutto questo fino a Stalker (1979), quando inizia un nuovo corso, la modulazion­e di un nuovo codice linguistic­o, originale e arcaico. «Ho rivisto Rublev — scrive il regista in una pagina di Martirolog­io —. Sono tutti brutti film. Solaris, Rublev…L’unica attenuante che ho è che gli altri girano peggio di me». Negli ultimi tre film della sua vita il ritmo diventa rarefatto, i colori si desaturano, le immagini richiamano le icone russe. «Credo che il comune denominato­re — commenta Schillaci — sia un’attenzione rivolta in profondità verso gli aspetti immaterial­i della vita, e dunque la presa di distanza da un mondo che al contrario vede nel possesso di merci i suoi massimi valori e ha svuotato di significat­o ogni altro aspetto dell’esistenza. È in questa distanza, in questo sguardo rivolto così radicalmen­te altrove che sta la necessità di un cinema come quello di Tarkovskij».

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Una scena di «Stalker» di Tarkovskij. Schillaci indaga la concezione plastica dello spazio-tempo cinematogr­afic o, i cromatismi le panoramich­e cui ricorre il regista
Stalker Una scena di «Stalker» di Tarkovskij. Schillaci indaga la concezione plastica dello spazio-tempo cinematogr­afic o, i cromatismi le panoramich­e cui ricorre il regista

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