«Avevo 16 anni, ora parlo agli studenti»
Per la prima volta Giovanni Marzona non scenderà in piazza per il 25 Aprile. «Avevo già programmato la giornata — dice il partigiano 90enne — . Alle 9.15 l’incontro al monumentino dei fratelli Padovani a Quarto Oggiaro, alle 10.30 al Musocco con gli altri. Al pomeriggio in centro e poi la sera a casa a riposare, sarei stato abbastanza stanco». E invece una polmonite lo tiene bloccato in una stanza di degenza al Niguarda. Ma gli acciacchi non gli impediscono di tramandare gli anni vissuti sulle montagne della Carnia.
Col nome di «Alfa» Giovanni entrò nella brigata Osoppo a soli 16 anni. Una scelta motivata dalla consapevolezza dei soprusi compiuti dai fascisti: «Anche a scuola me ne rendevo conto: il fascismo era solo prepotenza». Iniziò così a dare una mano ai partigiani dopo l’8 settembre 1943, «perché combattevano anche per la mia libertà». Poi, il reclutamento. «Il comandante Barba Livio mi disse: “Fermati con noi, abbiamo fiducia in te. E non chiedere il permesso alla mamma, sei grande, devi decidere da solo”. Non ho partecipato a molte battaglie, ma lavoravo per la loro organizzazione». Faceva da staffetta tra comandi e battaglioni trasmettendo messaggi e consegnando medicinali. In tasca una piccola pistola, per sfuggire alle torture in caso di cattura. «In inverno ci rifugiavamo nelle casere, le baracche degli allevatori, e chiedevamo cibo agli abitanti. Per questo ci chiamavano banditi». E nei giorni della grande fame, catturavano cavalli e cosacchi, arrivati a sostegno dei tedeschi, per mangiarne la carne. E ancora la paura delle spie, la pellagra, le prime notizie di speranza con la primavera del 1945. «La Liberazione? Dovrebbe chiamarsi Festa d’Aprile, che vuole dire tante cose. Ricordo quando finita la guerra consegnammo le armi a una delegazione di americani, inglesi e russi e ce le spaccarono. Non dovevano essere più usate». Giovanni, arrivato a Milano nel 1939 e con una carriera da «tuttofare» in Rai, è molto legato alla città. «Giro le scuole e i ragazzi sono contentissimi di sentirmi. Mi chiamano anche le per cogestioni».