«Grave danno da parto» I genitori contro il Civile
La denuncia dei genitori: «Un danno cerebrale da parto al Civile»
I genitori (e il loro avvocato) ne sono convinti: i gravi problemi neurologici della piccola Ilaria, che ha otto anni, derivano da una catena di omissioni in sala parto. Non solo. Ecografie e risonanze «sono state smarrite».
La storia della piccola Ilaria ricomincia dal sorriso della sua mamma, che non si è spento nemmeno davanti alla dura battaglia per capire cosa sia successo davvero alla sua bimba al momento della nascita. Soprattutto, perché «chi ha sbagliato deve risponderne» spiega la donna. «E credetemi — aggiunge —, per come sono fatta ho esitato a sporgere denuncia, perché so che si può sbagliare». Ma a far infuriare questa famiglia che vive nell’hinterland cittadino, tra mille sacrifici e una casa quasi ipotecata per curare la figlia, «è — riflette — una serie di comportamenti da parte dell’ospedale civile cittadino che non posso accettare per coprire gli errori piuttosto che ammetterli. Forse ce ne saremmo fatti una ragione. Ma non così».
Sottoposta a tre delicati interventi chirurgici alla testa per la rimozione di quasi metà cervello («al fine di placare crisi epilettiche potenzialmente molto pericolose») Ilaria oggi ha otto anni. E la capacità cognitiva di una bimba di due. Va a scuola, ha un’insegnante di sostegno, «ma è costantemente seguita in ogni piccolo gesto quotidiano» raccontano i genitori, oltre che nelle sedute di fisioterapia da Firenze a Como. La diagnosi: ischemia acuta cerebrale secondaria a infarto arterioso (destro), si legge in cartella. E che secondo l’ospedale Civile, dove è nata, sarebbe riferibile «a un evento perinatale», cioè prima della nascita, avvenuta in circostanze piuttosto complesse. Tanto da convincere i genitori e l’avvocato che li assiste che proprio lì sta il problema al punto da arrivare in tribunale con una causa civile da oltre quattro milioni di euro. In primo grado i giudici hanno dato ragione all’ospedale. Ora siamo in appello: prossima udienza tra un anno.
E allora torniamo a quel 26 novembre 2009, quando Ilaria viene alla luce. «Alle dieci del mattino ero in reparto, dilatata di tre centimetri. Ma non stavo bene. E tre ore dopo ho chiesto una visita. Alle 14 ero in sala parto», ricorda la mamma. Quaranta minuti dopo si rompe il sacco, «ma il liquido era scurissimo, mi sono spaventata. E ho domandato se non fosse il caso di procedere con un cesareo. Sentivo il monitoraggio interrompersi, fino a quando l’ostetrica non ha chiesto aiuto».
Da lì sono attimi concitatissimi. «Una spinta e deve uscire altrimenti muore» si sarebbe sentita dire la mamma di Ilaria, terrorizzata, da un medico. Il parto è operativo e sofferto («la ventosa non si attaccava»). «Mia figlia era blu, non piangeva e non respirava. L’hanno portata via subito e rianimata. Dopo oltre un’ora mi hanno detto che stava bene».
Eppure il giorno dopo, in lacrime, a questa signora un’ostetrica avrebbe detto: «Dovevamo farle il cesareo. Ma l’ho salvata...». E la mamma di Ilaria la ringrazia pure.
È il momento delle analisi e degli accertamenti. A partire dal prelievo del ph dal funicolo «per verificare un’eventuale asfissia da parto»: tutto nella norma. Ma dando un’occhiata ai referti, la mamma di Ilaria, al fianco del suo avvocato, fa notare che in realtà si tratterebbe di un prelievo «capillare» e non funicolare — quindi inutile — peraltro «non attribuibile a mia figlia. Non c’è il nome. Siamo convinti non sia il suo». In prima battuta il Civile attribuisce i problemi di Ilaria a una trombosi genetica della madre. «Ma tutti gli esami a cui mi sono sottoposta sono negativi». Infarto perinatale. Ma quando? Le ecografie, le risonanze, le visite in gravidanza, anche poco prima del parto, dalla ventesima settimana in poi, «non rivelano nulla». Il problema è che «sono spariti. Gli originali non si trovano più, così come l’esame della placenta, o il monitoraggio, strappato a mano in fase finale». Tanto che la famiglia ha presentato esposto in procura affinché si procedesse per sottrazione di sei referti ambulatoriali (e non smarrimento). Ma per il gip non è possibile attribuirla a qualcuno: «Non vi è prova che l’affermata sottrazione sia stata operata dall’indagato o da altro soggetto determinabile». A non quadrare, sulle cartelle «sono anche gli orari di travaglio e parto, anticipato di quasi mezz’ora».
La Corte d’appello, intanto, «vista la complessità della questione», ha sospeso l’esecuzione del primo grado. Cioè il pagamento di oltre 60 mila euro da parte deigenitori all’ospedale.
Ma non ci sarà alcuna nuova consulenza, «salvo una diversa valutazione in fase di discussione». «Il problema è che le cartelle cliniche sono incomplete; io non posso produrre nè le ecografie nè le risonanze, perché sono state smarrite» denuncia il legale di parte civile. «Noi tutti a questo punto vogliamo solo giustizia per la nostra bambina».
La mamma Quasi non volevo denunciare, so che si può sbagliare. Ma credo che i medici abbiano agito al fine di coprire gli errori piuttosto che ammetterli
L’avvocato
Il problema è che le cartelle cliniche sono incomplete: non posso produrre ecografie e risonanze perché sono state smarrite