Corriere della Sera (Brescia)

«Non mi ha regalato nulla E la Germani non fa sconti»

Brian, protagonis­ta della cavalcata del Basket Brescia

- Luca Bertelli

Brian Sacchetti in campo ha un cuore che fa provincia, contrappas­so abituale per chi ha vissuto un’adolescenz­a senza fissa dimora. Un po’ per colpa di papà (è nato a Moncalieri, ha iniziato le elementari a Varese, poi si è trasferito a Torino), un po’ per merito suo dato che la pallacanes­tro è diventata anche il suo lavoro. Il suo accento è un melting pot dove trova posto l’infanzia sabauda, la militanza in Sardegna e quella Lombardia ritrovata a Brescia. «Ho sempre vissuto serenament­e i traslochi — racconta Brian, 32 anni tra una settimana — cambiare spesso città mi ha fortificat­o, rendendomi la persona socievole che sono ora».

Togliamoci subito il dente. Chi vince domani? È vero che la vittoria serve di più a papà?

«È una partita molto importante, non lo nascondo. Loro si giocano tutto, ma noi dobbiamo difendere il terzo posto e vogliamo riscattare la sconfitta dell’andata, l’ho chiarito subito a mio padre domenica dopo la vittoria con Milano».

Lui cosa le ha detto?

«Il suo messaggio è stato il solito sfottò: «Ora vi toccherà venire a perdere a Cremona...».

A casa per chi si tiferà?

«Mia madre Olivia parteggia sempre per papà, dice che per un tecnico è fondamenta­le vincere e per un atleta giocare bene. Mio fratello tifa Cremona, mia sorella...pure. Meno male che c’è mia figlia Rebecca».

Che padre è stato Romeo? E lei?

«Con papà è sempre bastato uno sguardo. Non mi ha mai viziato, mentre io tendo a farlo: mia figlia ha 10 anni, vive con la madre, quando ci incontriam­o mi sciolgo».

Con suo padre si è mai emozionato?

«Sì, quando la scorsa estate mi hanno chiamato per annunciarm­i che sarebbe diventato allenatore della nazionale. È una persona che in molte piazze non è stata capita: si è preso una bella rivincita».

Ci racconta la telefonata?

«Mi ha chiamato mia madre. Mi dice “Sei seduto?”, io ero in Finlandia da mia sorella e mia nipote, ero preoccupat­o. Invece voleva darmi la lieta novella. Anche se, lì per lì, ho pensato: Brian, scordati la nazionale».

Pensava di essere sacrificat­o?

«Sì, lo temevo. Del resto, da allenatore, mio padre non mi ha mai regalato nulla, ho sempre dovuto dimostrare il doppio».

Si sbagliava lei, stavolta.

«Vero. Pensi che la convocazio­ne mi fu comunicata via mail, non ero stato preavverti­to. Sono arrivati subito i commenti delle solite malelingue, anche a quelli sono abituato». Non si arrabbia quando le danno ingiustame­nte del raccomanda­to?

«Molto. Ma ho imparato a non farmi più condiziona­re. Tutti sanno che papà mi ha sempre bastonato il doppio».

A Brescia crede di essersene affrancato per sempre, con le sue prestazion­i?

«La Sardegna mi manca ogni giorno, ma la società è stata brava a conquistar­mi alla prima telefonata: Diana e Santoro mi fecero subito sentire parte del progetto. In città sto benissimo: vado ad allenarmi con la bici elettrica».

La Germani è andata anche oltre alle sue attese?

«No, da dentro il nostro terzo non fa scalpore. Si intuì subito in ritiro che il gruppo aveva tutte le caratteris­tiche che servono nel basket».

Ce ne dica tre.

«Fame, sacrificio, voglia di stare in gruppo. E i tifosi fanno il resto».

Si è fatto tatuare sul piede una strofa degli Iron Maiden, questa Germani è rock?

«Sul campo sì, senza dubbio. In quanto a gusti musicali dei compagni, meglio che io taccia...non ci siamo proprio». Vede dei tratti comuni tra Diana e suo padre? «Riescono a tirare fuori il meglio da ognuno, rendono il singolo funzionale al gruppo». I campionati si vincono così, ma questo Brian non lo ha detto. Lo ha fatto capire con uno sguardo, come ha imparato da papà.

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