Messina e Minini dioscuri dell’arte tra classicismo e sperimentazione
Il volto mistico, il corpo sottile e perennemente vestito di nero, Vanessa Beecroft è ossessionata dalle ammucchiate femminili: gruppi di ragazze nude, mute, intrappolate in guaine color carne e ammassate in grovigli di carne. Per la mostra, però, tra le opere che ha collezionato dell’artista, Massimo Minini ha scelto due teste in bronzo lucido senza occhi. Di fronte a loro, sfacciate, le femmine impudiche di Francesco Messina. Qui il classicismo. Là la sperimentazione.
Due poetiche che si annusano, si scrutano e scoprono insospettabili affinità elettive: Minini ha riempito lo Studio Museo Francesco Messina, a Milano, con i propri feticci. Opere di Adolfo Wildt, Letizia Cariello, Paolo Icaro, Giacomo Manzù, Armando Andrade Tudela e Vanessa Beecroft (per fare due nomi a caso) scelte dalla sua collezione personale e accostate alle fotografie-ritratto scattate dallo stesso Minini ai suoi preziosi. Da una parte, quindi, il collezionista bulimico. Dall’altra, lo scultore dei Cavalli morenti. Capita che le lolite di Messina guardino una mimesi di Paolini o che le «ragazzotte grasse» (cit Minini) del padrone di casa si trovino a invidiare le veneri affusolate di Icaro, in un dialogo che trova il suo climax nella Martire di Wildt. «Un mondo guarda all’altro con curiosità, a volte con diffidenza, comunque sempre con rispetto» scrive il gallerista che, attraverso la fotografia, fa trapelare una visione inedita, diversa e più emotiva, delle sue opere, trasformandole in racconti. Photosensibile, il titolo della mostra, dura fino a domenica: i ritardatari si spiccino.