SE BRESCIA PARE UN PO’ NEWARK
Lo scrittore («Addio, monti», Minimum fax, 2014) e giornalista (Il Foglio, IL, Style) Michele Masneri una volta ha definito Brescia «la Newark d’Italia». Ex polo industriale del New Jersey, l’agglomerato urbano che sorge di fronte a Manhattan ha beneficiato in questi giorni di una rinnovata notorietà perché ha dato i natali a Philip Roth. Masneri ha ragione. Newark ha più del doppio degli abitanti di Brescia, ma dista meno di un’ora da New York City, il tempo che noi impieghiamo a raggiungere Milano. E molta della popolazione del New Jersey gravita attorno alla Grande Mela per questioni professionali tanto quanto il capoluogo lombardo attrae ogni mattina 735 mila commuters dalle sue città satellite. Una vita da pendolari, in fuga all’ora di cena dalla grande città che di notte «risplende come un tempio incendiato dagli infedeli», direbbe Richard Ford. Anche la tradizione manifatturiera di Newark, col suo portato migratorio, ricorda la cultura del lavoro che si respira fra le valli e la bassa bresciana. Da loro la concia dei pellami, gli stabilimenti siderurgici e il grande porto commerciale che ha attratto prima gli ebrei ashkenaziti, poi gli italiani e infine la comunità afroamericana della rust belt. Da noi il tondo da cemento armato, la meccanica e la zootecnia intensiva che ha popolato le scuole della provincia dei figli dei «fondoer» senegalesi, dei mungitori indiani, dei muratori rumeni, dei commercianti cinesi e degli ortolani pachistani del centro storico. Masneri ha però anche torto. Perché l’operosa Newark dello Svedese di Pastorale Americana e che ritorna prepotentemente nell’insondabile etica produttivista dello Stanley Ferguson di 4321 (l’ultima fatica di un altro newarkese doc come Paul Auster), semplicemente, non esiste più. C’è un reportage del New York Times del 2004 - Walking the Streets of a Writer’s Memory - che descrive la decadenza di Newark iniziata negli anni Ottanta con la fuga della middle class bianca verso i più rassicuranti (ma anonimi) sobborghi stile Haddam (ancora Ford) lungo la ferrovia per Philadelphia. Hanno chiuso le macellerie del Lamento di Portnoy e sulla Summit Avenue ora ci sono discount e liquor store col vetro blindato. Invece, e malgrado la furibonda crisi del 2011, esiste ancora la Brescia che lavora, che produce, che crea ricchezza e perciò (anche) cultura. La Brescia delle fabbriche e quella della movida. La Brescia delle aziende agricole e quella della Mille Miglia. La storia di Newark ci dice che non era scontato. E forse serviva Roth per ricordarci l’inestimabile valore di questo nostro «Patrimonio».