TITOLO DI «CITTÀ CHE LEGGE» MANERBIO CE L’HA FATTA E BRESCIA NON CI PROVA?
Caro Tedeschi, sui social ho letto la notizia che Manerbio è stata riconosciuta dal ministero «Città che legge». Mi sembra un bel risultato in un periodo in cui fra bandiere arancione e blu, tutti i centri grandi e piccoli sono alla ricerca di qualche patente. Non potrebbe farci un pensierino anche Brescia, secondo lei?
Roberta Zani Gentile Roberta, il riconoscimento di «Città che legge», previsto dal ministero dei Beni artistici e culturali ha vita recente, è promosso insieme al Centro per il libro e la lettura e l’Anci. L’obiettivo è «promuovere e valorizzare le Amministrazioni comunali impegnate a svolgere con continuità sul proprio territorio politiche pubbliche di promozione della lettura». Il riconoscimento consente di partecipare a bandi e incentivi specifici. Le condizioni non sono impervie: il Comune deve garantire l’accesso ai libri «attraverso biblioteche e librerie, ospitare festival o fiere che mobilitano i lettori e incuriosiscono i non lettori, partecipa a iniziative congiunte di promozione della lettura tra biblioteche, scuole, librerie e associazioni e aderire a uno o più dei progetti nazionali del Centro per il libro e la lettura (Libriamoci, Maggio dei libri, In vitro)». Ma la cosa più interessante è che il Comune deve aver sottoscritto (o impegnarsi a farlo) un Patto locale per la lettura. È lì che vanno dichiarati intenti e progetti di crescita. L’amministrazione uscente di Brescia ha annunciato di voler candidare la città a capitale italiana della cultura per il 2022. Iniziativa lodevole, più volte sollecitata da queste colonne. Il titolo di «Città che legge» pare alla portata di mano e potrebbe diventare un primo test. Le condizioni oggettive ci sono (quasi) tutte. Manca il «Patto». E manca un grande investimento sulle biblioteche decentrate: sono otto, piccole (superficie media di 300 metri) e gracili (0,5 euro di acquisti librari pro-capite all’anno contro uno standard europeo di 3 euro). Eppure un bresciano su 10 frequenta le biblioteche mentre solo uno su 150 va allo stadio e uno su 240 al palazzetto. Siamo più lettori che tifosi: sarebbe ora di tenerne conto.