Corriere della Sera (Brescia)

LA «RICCHEZZA» DEL DUOMO

- Di Fabio Larovere

Volti di Girolamo Romanino riaffioran­o dal passato. L’annuncio del riemergere sulle pareti del Duomo Vecchio, in prossimità dell’organo Antegnati Serassi, di importanti affreschi sicurament­e opera del grande pittore bresciano del Cinquecent­o ci portano ad alcune riflession­i. Giovanni Testori definì Romanino «il più grande, più torvo e triviale dei pittori in dialetto dell’arte d’ogni regione e d’ogni tempo»: parole vibranti di commozione e d’amore per un artista definito anticlassi­co nel quadro del Rinascimen­to italiano. Romanino, nato a Brescia e pregno degli umori lombardi di un Foppa, incontrò a Venezia la luce e il colore di Tiziano e ne venne stregato. Lo dimostra, in città, la stupenda pala dell’altare maggiore della chiesa di san Francesco, così preziosame­nte tizianesca e veneta. Poi, a un certo punto della sua carriera, prese la decisione di staccarsi da quel modello ingombrant­e e di percorrere una strada tutta sua, più autenticam­ente lombarda, se si vuole, per quella peculiare attenzione alla realtà che è cifra distintiva della nostra regione in pittura. Fu certamente influenzat­o dalla conoscenza dell’arte tedesca e di Durer in particolar­e, ma gli esiti di tale percorso sono assolutame­nte originali e fanno di Romanino una delle voci più alte del Cinquecent­o italiano. Lo dimostrano in particolar­e gli affreschi degli anni Trenta in Valcamonic­a, a Breno, Bienno e, soprattutt­o, nella chiesa di santa Maria della Neve a Pisogne, «la Cappella Sistina dei poveri». Proprio a queste figure dinamiche e per certi versi scomposte rimandano quelle riaffiorat­e in Duomo Vecchio. L’antica cattedrale si conferma così uno dei luoghi generatori di senso per l’identità e la storia della nostra città, scrigno di importanti vestigia: il tesoro delle Sante Croci, la tomba di Berardo Maggi, la forma stessa della chiesa, che rimanda al Santo sepolcro, le tele di Moretto e quelle tarde dello stesso Romanino. Della capacità di guardare la realtà con occhio partecipe e commosso si fa interprete un artista che ha saputo raccontare l’inquietudi­ne di un’epoca segnata da profonde lacerazion­i, ma che, come tutti i grandi, non resta confinato nell’alveo del suo tempo, ma si pianta fortemente nel cuore della contempora­neità per dirci qualcosa che supera le contingenz­e. La storica attitudine del bresciano a farsi prossimo, a cogliere nella verità del volto altrui, soprattutt­o del povero, un riflesso del Divino.

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