Moni Ovadia sfodera lo spirito yiddish
Tre serate nell’arena di via Francesco per Oltre la strada
Si definisce modestamente saltimbanco e cantastorie, ma di dottrina rabbinica ne sa eccome. Moni Ovadia ci ha reso familiari i racconti sapienziali talmudici, i motti di spirito (witz) dell’umorismo ebraico, la cultura dello shteltl spazzata via dal nazismo, le nevrosi materne della yiddish mame (vedasi W. Allen), la diversità di un popolo esiliato da se stesso e dagli altri e che coltiva le proprie radici senza una terra in cui riconoscersi. Per tre serate (domani, sabato e domenica) il versatile artista milanese (musicista, cantante, attore, drammaturgo, compositore e scrittore) sarà il protagonista di Dio ride Nish koshe (in yiddish vuol dire «così così»), una produzione del Ctb in collaborazione con Corvino Produzioni nell’arena all’aperto di via Francesco, ultimo titolo in cartellone del festival estivo Un salto nel nullo! Che fa parte del progetto Oltre la strada voluto dal Comune di Brescia per valorizzare e riqualificare l’area di via Milano.
Lo spettacolo riprende il modello di una messinscena leggendaria, Oylem Goylem, di cui ricorre il 25° anniversario. Protagonista è sempre il vecchio ebreo errante, con nuove storie e nuove musiche. «Allora una zattera in forma di piccola scena approdava a teatro – dice Moni Ovadia –. Trasportava cinque musicanti e un narratore di nome Simkha Rabinovich, che raccontava storie di gente esiliata e ne cantava le canzoni. Oggi Simkha e i suoi compagni tornano per continuare la narrazione di quel popolo in permanente attesa di un divino presente e assente, di un redentore che chiede di essere redento nel cammino di donne, uomini e creature viventi verso un mondo di giustizia e di pace».
Ma perché Dio ride, gli chiediamo? «Io sono un agnostico che ha un profondo interesse per la spiritualità. Lo potrebbe confermare anche il cardinale Ravasi, uomo di chiesa e di cultura sterminata: ci sono atei ricchi di spiritualità vertiginosa e religiosi spiritualmente modesti. Io credo che la questione dell’esistenza di Dio si possa affrontare solo nel paradosso. Il titolo dello spettacolo deriva da un midras talmudico in cui Dio ride di se stesso per aver ficcato il naso negli affari degli uomini. Il riso divino lo si ritrova anche nell’episodio della nascita di Isacco, in cui la novantenne Sara rimane incinta del centenario Abramo. I due increduli si scompisciano dalle risate, poi arriva Dio e dice loro: avete tanto da ridere? Allora ridiamo insieme. Vostro figlio lo chiamerete Isacco. Ebbene, è un nome che in ebraico significa “riderà”. L’annunciazione ebraica è insomma una risata, diversa dall’atmosfera raccolta di quella cristiana».
Citando Levinas, Asimov, Wittgenstein e Žižek, ieri mattina, durante la conferenza stampa, Moni Ovadia è stato protagonista di una straordinaria quanto informale lectio magistralis in cui ha messo in luce l’irresistibile carica anarchica e liberatrice del- l’umorismo yiddish. Lo spettacolo, ha garantito, sarà divertente — accompagnato dalla musica dal vivo della Moni Ovadia Stage Orchestra di cui fanno parte alcuni strumentisti rom — e non mancheranno le riflessioni critiche sulla politica israeliana e indirettamente sulle derive sovraniste e populiste dell’Europa. «Credo che l’identità ebraica — ha aggiunto — si sia formata in esilio. La Torah dice che la terra è un luogo su cui risiedere, non da possedere. E ci sarà pace quando vivremo da stranieri tra gli stranieri con eguali diritti… Ora gli ebrei hanno una patria e sono diventati nazionalisti idolatri». Lo spettacolo inizia alle 21.30. Solite prevendite.
Lo spettacolo Protagonista il solito vecchio errante con nuove storie e nuove musiche