Aumentano i bresciani poveri
In mensa un terzo degli ospiti è italiano. L’associazione aiuta mille famiglie l’anno
Sono in aumento i bisognosi aiutati dalla Caritas di Brescia. In un anno parrocchie e volontari della Diocesi hanno aiutato mille famiglie, distribuiti 47 mila pasti alla mensa Menni: un terzo dei commensali è bresciano.
I poveri non fanno rumore. Tanto meno la solidarietà, che spesso lavora dietro le quinte e produce molti risultati.
Basta infatti guardare il bilancio di «Un anno con Caritas» per capire quanto capillare sia l’opera delle parrocchie e dei volontari della diocesi di Brescia. Più di 47 mila pasti distribuiti ogni anno alla Mensa «Eugenia Menni». E chi pensa che i «commensali» siano tutti stranieri o senzatetto non fa i conti con la realtà: negli ultimi anni, un terzo dei poveri è italiano. E tra loro ci sono diversi padri separati.
Poi ci sono i pacchi alimentari: solo l’anno scorso ne sono stati distribuiti 43 mila, ossia settemila in più rispetto al 2016. E’ il segno che le difficoltà delle famiglie non si sono risolte con un Pil cresciuto di un punto e mezzo, come successo l’anno scorso.
Un altro grande «problema» è rappresentato dall’abitazione: pagare la bolletta del gas a volte può essere un’impresa, soprattutto d’inverno. Ogni anno, circa un migliaio di famiglie bussa alla porta di Caritas: c’è chi fatica a pagare le utenze di casa (69%), chi ha bisogno di un aiuto per mandare i figli a scuola (13%) e chi non ce la fa a pagare tutto di tasca proprio (7%), visto che non tutti i farmaci sono coperti dal servizio sanitario. Risultato, nel solo 2017 le diverse parrocchie bresciane — coordinate da Caritas diocesana — hanno contribuito a tutte queste spese con quasi 172 mila euro. Si tratta del fondo «Briciole lucenti», di cui beneficiano ogni anno un migliaio di famiglie e, quindi, tra le quattro e le cinquemila persone.
«In questi anni siamo sempre stati in prima linea nel rispondere ai bisogni delle persone che vivevano in condire zioni di difficoltà economica. Ma poi ti accorgi che il vero cibo raccolto — sostiene il direttore della Caritas Giorgio Cotelli — è fatto di storie: quelle delle singole persone che abbiamo incontrato».
In questa filosofia l’aiuto «materiale» diventa quindi uno «strumento per avvicina- le persone». E quelli che hanno bisogno sono tanti: «tra i nuovi poveri — ricorda Marco Danesi, vice direttore di Caritas — ci sono anche i lavoratori che guadagnano troppo poco per pagarsi tutte le spese». Il fenomeno della precarietà preoccupa i sacerdoti e i laici impegnati in quest’opera di sostegno. E le rinunce che si fanno al supermercato testimoniano questa fragilità: in media, ogni anno la Caritas bresciana sostiene con i pacchi alimentari 5.700 famiglie. Dall’«Ottavo giorno» — la piattaforma logistica per la raccolta, lo stoccaggio e la distribuzione di generi alimentari alle Caritas parrocchiali — emerge come ogni anno vengano distribuiti qualcosa come 174 mila litri di latte, 192 tonnellate di pasta e riso, 51 mila litri di olio, 62 tonnellate di farina, 13 mia chilogrammi di frutta e verdura, 27 mila chilogrammi di carne e tonno, quasi cinque tonnellate di confetture. La lista è senza fine, anche se nell’ultimo si sono azzerati omogeneizzati e «latte pediatrico». Mettendo però insieme tutti i generi alimentari, ne esce una lista di prodotti che nel solo 2017 è costata 820 mila euro, ma il cui valore di mercato supera i due milioni di euro. Senza il circuito virtuoso della solidarietà, quindi, acquistare quei generi alimentari sarebbe costato due e volte e mezza in più. E invece, tra fondi delle parrocchie, donazioni di privati e l’attenzione della Grande distribuzione, Caritas è riuscita a recuperare latte, pasta, legumi e generi alimentari per 2 milioni di euro sborsandone «solo» 820 mila.
La leva solidale è percorso che vuole unire aiuto materiale e speranza. Ma l’obiettivo non è fare assistenzialismo: non è un caso se il lavoro è una delle condizioni per la concessione del «microcredito sociale». Come dire, se serve un prestito il cui interesse è pari a «zero» Caritas lo fa, ma serve una garanzia di valore: l’impegno quotidiano del lavoro. Del microcredito sociale ne hanno beneficiato 909 persone negli ultimi otto anni, 94 solo nel 2017.
«Chi accede al microcredito — racconta Danesi — spesso un lavoro ce l’ha, ma non basta» per arrivare alla fine del mese.
Anche a chi un’occupazione non ce l’ha proprio, Caritas cerca di dare una mano. Solo che inserire operai in un’azienda è sempre più difficile: se nel 2016 in 42 avevano trovato un’opportunità per un lavoro a termine, l’anno scorso il numero si è quasi dimezzato (-45%), con 17 contratti a termine e sei assunzioni.
Ma la fame di lavoro rimane grande: in media, ogni anno, sono quasi in 200 a bussare alla porta di Caritas per questo motivo. Ma creare opportunità di lavoro significa anche siglare accordi convenzionali con le realtà del sistema produttivo e dare a coop e piccole imprese un aiuto economico: infatti, dal 2009 al 2017 per il sostegno all’occupazione Caritas diocesana ha speso 465 mila euro. Sono stati utilizzati anche i voucher, che negli anni hanno offerto un’opportunità a 191 persone. La capillarità insomma funziona. E dà risultati. Grazie al contributo sinergico di tanti.
Cotelli
Siamo sempre stati in prima linea nel rispondere ai bisogni. Ma poi ti accorgi che l’aiuto materiale è strumento anche per avvicinare le persone
Danesi
Tra i nuovi
poveri ci sono anche quelli che lavorano, ma che non guadagnano quanto basta per pagare tutte
le utenze
Abitazione
Il 67% di chi chiede un aiuto economico a Caritas lo fa per la casa: affitto e utenze