Corriere della Sera (Brescia)

Il problema non è il lavoro a termine ma quello in nero: milioni di persone

- Douglas Sivieri Presidente Apindustri­a Brescia

Il nuovo governo ha appena iniziato a lavorare, lungi da noi l’intenzione di unirci al coro dei tanti che criticano a priori, ma qualcosa sul cosiddetto decreto dignità bisogna pur dirlo. Il ministro Di Maio, nell’annunciare una serie di norme più stringenti sull’utilizzo di contratti a termine, ha definito il decreto la Waterloo del lavoro precario. Senza scomodare la storia è opportuno ricordare che l’Italia non è il Paese del lavoro a termine. Per l’Istat questa tipologia di lavoro rappresent­a il 13,1% del totale, in linea con la media dei Paesi europei e di gran lunga inferiore a Spagna e Polonia, dove è a termine più di un lavoro su quattro. Si può migliorare, certo, ma di qui a dire che questo è il problema ce ne passa parecchio. In Italia, questo sì, c’è invece un grosso problema di lavoro nero (tre milioni di persone) ma di questo il decreto dignità nulla dice né mostra di interessar­si. Eppure sarebbe un bel tema, perché oltre che poco dignitoso per i lavoratori, il lavoro nero rappresent­a anche una delle più gravi forme di concorrenz­a sleale tra imprese. Oltre all’aspetto normativo, il decreto sembra però cozzare soprattutt­o contro l’andamento attuale dell’economia. C’è una ripresa fragile in corso da tempo e qualche effetto inizia a esserci anche sull’occupazion­e. I dati diffusi dall’Istat nei giorni scorsi stimano un aumento sensibile del numero di occupati in tutte le fasce di età, al punto che il tasso di partecipaz­ione al lavoro è tornato ai livelli pre crisi. Non è abbastanza, certo, ma come sempre quantità e qualità del lavoro non nascono per decreto, consideraz­ione che valeva ai tempi del Jobs Act e che vale anche oggi col decreto dignità. L’economia e il lavoro stanno cambiando rapidament­e. Il tempo determinat­o si concentra molto negli alberghi, nel commercio, nella ristorazio­ne, nei settori del terziario considerat­i a bassa produttivi­tà e molto legati alla stagionali­tà. Si tratta mediamente di lavoro povero e scarsament­e profession­alizzato. Il decreto, su questo, poco o nulla potrà fare perché l’economia sta andando da un’altra parte. Da tempo si sottolinea che anche il lavoro sta cambiando, che domanda e offerta stentano a incontrars­i, che servono capacità di adattament­o e formazione continua, che tanti giovani studenti non sanno ancora che lavoro faranno domani sempliceme­nte perché quel lavoro ancora non esiste. Questo è il quadro e soffermars­i ancora una volta sulla norma e l’inquadrame­nto giuridico non aiuta a comprender­e le trasformaz­ioni in atto nell’economia e nel mercato del lavoro. Anche perché non vi è dubbio che il lavoro a termine sia soprattutt­o ciclico e tenda ad aumentare quando l’economia tende a crescere all’interno di una fase di instabilit­à ed incertezza di lungo periodo. Una consideraz­ione, infine, sull’uso del linguaggio. È culturalme­nte sbagliato collegare il concetto di dignità del lavoro alla sua inamovibil­ità, fosse anche solo per rispetto nei confronti dei tantissimi lavoratori in regime di partita Iva che di tutele non ne hanno proprio, di rischi ne hanno tantissimi, ma faticano e svolgono lavori dignitosi come tutti. Vogliamo essere comunque fiduciosi, convinti che nel governo ci siano anche certe sensibilit­à verso il mondo produttivo e verso le piccole e medie imprese in particolar­e. E quindi, fra governo e Pmi, possa instaurars­i un dialogo davvero fruttuoso e in grado di aiutare il sistema produttivo nella fragile e incerta ripresa in corso.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy