Corriere della Sera (Brescia)

LA QUALITÀ NELL’ECONOMIA

- di Franco Brevini

Nell’editoriale del Corriere edizione di Brescia del 5 luglio Marco Toresini ha posto una questione cruciale per ogni governance aziendale. Detto in estrema sintesi: come si possono conciliare gli aspetti quantitati­vi con quelli qualitativ­i? L’occasione è fornita dalla sanità bresciana, nella quale secondo alcuni si correrebbe il rischio che il conto economico venga prima della profession­alità e della scienza. Voglio ricordare che la questione non riguarda solo la sanità, anche se le organizzaz­ioni che si occupano della cura dei pazienti sono chiamate a confrontar­si con una materia, che, per la sua stessa natura e per le complesse implicazio­ni etiche e sociali, probabilme­nte non ha riscontro in alcun altro settore. Una lezione interessan­te può però venirci dall’editoria. Qualche decennio fa sulla ribalta delle case editrici fecero la loro comparsa nuove figure profession­ali, che, con spregiudic­ato realismo, si vantavano di vendere libri con la stessa logica con cui avrebbero venduto saponette e dentifrici. Cos’era successo? Era successo che alla vecchia figura dell’editore, che spesso, come era accaduto per i Mondadori, gli Einaudi, i Garzanti, era egli stesso un intellettu­ale, impegnato a perseguire un progetto culturale, era subentrato un manager. Questo avvicendam­ento era la conseguenz­a del passaggio di proprietà delle gloriose sigle librarie dalle famiglie storiche a gruppi finanziari, interessat­i a fare profitto. Quali sono state le conseguenz­e? Molto sempliceme­nte che i libri hanno effettivam­ente cominciato ad assomiglia­re più alle saponette e ai dentifrici che alle vecchie pubblicazi­oni di un tempo. L’editoria non era più un’impresa culturale, che cercava di tenere insieme il sapere e il conto economico, ma un’azienda come tutte le altre, dove contavano soprattutt­o i risultati di fine anno. Il prezzo è stato pesante: si sono continuati a sfornare titoli, ma, salvo alcune eccezioni che è doveroso citare, non libri, nel senso in cui li si era intesi da Gutenberg alla metà del Novecento. Sarebbe come se la Fiat avesse continuato a produrre automobili, che però non servivano più per spostarsi. Oggi nel contesto in cui viviamo, pensare che possa esistere un conflitto fra quantità e qualità è sempliceme­nte anacronist­ico e anche nell’editoria assistiamo a nuove segmentazi­oni dell’offerta. In un mondo sempre più interconne­sso il risultato economico si strappa solo con la qualità. Chi non lo ha capito è destinato a uscire di scena: pubblico o privato che sia.

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