LA QUALITÀ NELL’ECONOMIA
Nell’editoriale del Corriere edizione di Brescia del 5 luglio Marco Toresini ha posto una questione cruciale per ogni governance aziendale. Detto in estrema sintesi: come si possono conciliare gli aspetti quantitativi con quelli qualitativi? L’occasione è fornita dalla sanità bresciana, nella quale secondo alcuni si correrebbe il rischio che il conto economico venga prima della professionalità e della scienza. Voglio ricordare che la questione non riguarda solo la sanità, anche se le organizzazioni che si occupano della cura dei pazienti sono chiamate a confrontarsi con una materia, che, per la sua stessa natura e per le complesse implicazioni etiche e sociali, probabilmente non ha riscontro in alcun altro settore. Una lezione interessante può però venirci dall’editoria. Qualche decennio fa sulla ribalta delle case editrici fecero la loro comparsa nuove figure professionali, che, con spregiudicato realismo, si vantavano di vendere libri con la stessa logica con cui avrebbero venduto saponette e dentifrici. Cos’era successo? Era successo che alla vecchia figura dell’editore, che spesso, come era accaduto per i Mondadori, gli Einaudi, i Garzanti, era egli stesso un intellettuale, impegnato a perseguire un progetto culturale, era subentrato un manager. Questo avvicendamento era la conseguenza del passaggio di proprietà delle gloriose sigle librarie dalle famiglie storiche a gruppi finanziari, interessati a fare profitto. Quali sono state le conseguenze? Molto semplicemente che i libri hanno effettivamente cominciato ad assomigliare più alle saponette e ai dentifrici che alle vecchie pubblicazioni di un tempo. L’editoria non era più un’impresa culturale, che cercava di tenere insieme il sapere e il conto economico, ma un’azienda come tutte le altre, dove contavano soprattutto i risultati di fine anno. Il prezzo è stato pesante: si sono continuati a sfornare titoli, ma, salvo alcune eccezioni che è doveroso citare, non libri, nel senso in cui li si era intesi da Gutenberg alla metà del Novecento. Sarebbe come se la Fiat avesse continuato a produrre automobili, che però non servivano più per spostarsi. Oggi nel contesto in cui viviamo, pensare che possa esistere un conflitto fra quantità e qualità è semplicemente anacronistico e anche nell’editoria assistiamo a nuove segmentazioni dell’offerta. In un mondo sempre più interconnesso il risultato economico si strappa solo con la qualità. Chi non lo ha capito è destinato a uscire di scena: pubblico o privato che sia.