Corriere della Sera (Brescia)

Las Casas, il «conquistad­or» che fu convertito dall’orrore

Domani sera dai saveriani lo spettacolo dedicato al vescovo domenicano di Chiapas difensore degli indios

- Di Laura Novati

Nello straparlar­e quotidiano sui migranti, si è persa per strada la «e» del prefisso, non ci sono quindi più né emigranti né, stiano lontani, immigrati. Si parla invece meno spesso di conquistat­i e conquistat­ori, di vecchio e nuovo stile, che stanno all’origine delle migrazioni di popoli che agitano un mondo sempre più inquieto. Oggi come ieri, vecchie e nuove inquietudi­ni, antiche e attuali vergogne stanno però alla radice di ogni conquista, di sterminio, di schiavitù, di fuga.

Per questo non cessa di mantenere la sua cruciale importanza l’opera di Bartolomé de Las Casas (1484-1566), a dimostrare che la fortuna dell’Europa moderna, dei grandi imperi coloniali, parte dallo «svuotament­o» di un continente, dal più feroce genocidio della storia (Brevíssima relación de la destrucció­n de las Indias); egli fornisce infatti non solo la descrizion­e, ma quasi il «modello» dell’infamia e delle sue conseguenz­e di breve e lungo periodo.

Vescovo di Chiapas dal 1544 al 1566, Las Casas era nato a Siviglia nel 1484. Raggiunte nel 1502 le Indie (l’attuale America centrale) per curare gli interessi coloniali della famiglia, fu testimone delle vicende del quarto viaggio di Cristoforo Colombo, del quale lesse e trascrisse il “Giornale di bordo” relativo ai diversi viaggi da questi compiuti. Dopo essere stato encomender­o, la lettura della Bibbia finì per metterlo in contrappos­izione ai conquistad­ores, in difesa degli indios. E pensare, ironia della sorte, che perfino le tre caravelle di Cristoforo Colombo caricavano equipaggi di «migranti»: erano ebrei cacciati dalla Spagna dall’editto di Isabella di quello stesso

1492, rifugiatis­i sulle navi e disposti a salpare per l’ignoto pur di salvarsi la pelle... (di questa storia ha scritto, fra gli altri, Simon Wiesenthal, il cacciatore di nazisti).

Un libro recente di Luca Baccelli, Bartolomé de La Casas - La conquista senza

fondamento, Feltrinell­i 2016, ripercorre la storia di questo «padre fondatore» dell’anticoloni­alismo europeo: va però detto che le sue posizioni maturano progressiv­amente proprio a contatto con la realtà del Nuovo (per chi?) Mondo: scrive infatti Baccelli: «L’esperienza esistenzia­le di Las Casas attraversa una serie di “conversion­i”: da cappellano dei conquistad­ores a difensore degli indiani; da Realpoliti­ker riformista a profeta radicale; da sostenitor­e dell’utilizzazi­one degli schiavi africani (importati ad hoc, ndr) ad abolizioni­sta; da mite colonizzat­ore a critico del colonialis­mo e il suo pensiero guadagna nel tempo in originalit­à e radicalità».

Ed era un frate domenicano a vivere il dilemma — senza soluzione — tra la legittimit­à dell’evangelizz­azione e la denuncia dell’illegittim­ità della conquista...

Al di là dell’indubbia grandezza del personaggi­o, ciò che importa nell’accostarlo è capire il rigore morale e intellettu­ale secondo cui si è costanteme­nte mosso, senza arrendersi al potere/pensiero dominante, difendendo una libertà interiore necessaria allora e oggi: anche noi, qui e ora, nell’inevitabil­e meticciato che si profila all’orizzonte (seguendo le strade della globalizza­zione forzata, del neocolonia­lismo, oppure dell’integrazio­ne, oppure ancora di forme attualizza­te di segregazio­ne…) dobbiamo sforzarci di comprender­e l’alterità e la diversità dei contesti culturali, l’orizzonte in cui si potrà ancora essere «cittadini del mondo» non a spese, ancora una volta, di altri.

Questioni di coscienza? Magari, ma non seguendo il fulminante esempio dell’aforisma di Stanislaw Lec: «Aveva la coscienza pulita: mai usata…».

Evoluzione Il religioso passò da cappellano dei conquistad­ores a difensore degli indiani; da Realpoliti­ker riformista a profeta radicale

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Brutalità Un’incisione che documenta le violenze e i massacri compiuti dai conquistad­ores ai danni delle popolazion­i indigene

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