Il decano dei fotografi a Montisola
Una mostra a Montisola rende omaggio a Fiammetti, decano dei fotografi, etnografo del passato, umanista vero
Ha l’età ammirevole in cui una lunga vita sembra il giorno di ieri passato in fretta. Eppure Eros Fiammetti (classe 1932) possiede grazia, vigore e fascino della giovinezza. Riesce a bilanciare leggerezza sostenibile e peso specifico come solo sanno fare i maestri. Fiammetti è infatti un maestro della fotografia bresciana, probabilmente ignoto a tutti coloro che vivono nelle viscere profonde del web e della civiltà cross mediale nutrita di like e di followers. Ma tant’è. Il passato è per molti una terra straniera. Fiammetti è fedele al dio analogico e bianconerista («C’è chi crede nella Madonna, io credo nel negativo», ha detto il grande Berengo Gardin) e la sua mostra — Tra emozione e realismo, questo il titolo — in corso fino al 17 agosto presso le Sale dell’Ufficio Turistico di Montisola, racconta un mondo di ieri che non ha orologi né è succube dei capricci della moda, perché appartiene al tempo. E il tempo continua sempre, anche senza di noi. Una intuizione struggente ma magnifica, perché la consapevolezza del tempo è l’unico capitale dell’età adulta. Ammesso che si diventi adulti in una società dopata di eterna giovinezza.
«Per essere un buon fotografo — scrive Fiammetti — non occorre una attrezzatura costosa e un’infinità di scatti: una fotocamera di buon livello è più che sufficiente. Ci vogliono invece delle idee. È indispensabile abituarsi a osservare, memorizzare per poi fare dei progetti. Quindi tutto questo equivale a pensare. Infatti i lavori più completi ed interessanti si fanno con la testa, la fotocamera viene dopo». Un breviario estetico ridotto all’osso, lapidario, depurato fino alla sostanza, in cui la tensione etica, che è pietra angolare dell’energia creativa, ha il mandato di far parlare i segni della realtà.
Guardare non basta, bisogna vedere: questa è la dote produttiva dell’occhio poetico («la forza eiaculatrice dell’occhio», diceva il giansenista Robert Bresson, il più grande regista cinematografico di sempre), che nel caso del No- stro è severo, essenziale, votato a documentare lo splendore del vero nel suo manifestarsi minimo e quotidiano, lontano dalla tradizione classica e dai manierismi stucchevoli di quello che Jean Marie Straub chiamava la pornografia del bello. Per Fiammetti l’economia della forma porta all’ampliamento del segno.
Compagno di strada di Giuseppe Palazzi, Piero Vistali, Arturo Cresciani e Vincenzo Cottinelli, con i quali ha fondato nel 1964 il Gruppo Tre Archi, atto di secessione dal Cinefotoclub, per poi approdare al biancoenero di oggi — Fiammetti ha iniziato a scattare negli anni ’50 sulla scia del Verbo neorealista. Con la fotocamera al collo ha girovagato la nostra provincia, riscoprendo l’identità sotto traccia, periferica, vernacolare ma universale (soprattutto contadina e operaia) con quella sua curiosità da etnografo e flâneur umanista. I volti dei sui bellissimi ritratti ci fanno vedere non solo quello che i soggetti nascondono, ma anche quello che essi non sospettano vi sia dentro di loro. Una galleria di persone non illustri immortalate nell’attimo bruciato dal divenire, di mestieri dimenticati (i fucinatori, i cercatori di ferro, i sensali), di paesaggi invernali sospesi nel silenzio. Tanti bambini, tanti anziani di una società povera sì, ma che aveva ancora un baricentro di valori e dignità prima dello sgretolamento. Di assoluto rilievo la serie di Case abbandonate, dove alcuni reperti archeologici del vissuto lasciano romanzi indiziari, e quella del raduno annuale dei Bikers al Passo di Croce Domini.
Eros Fiammetti è stato un insigne testimone oculare del ‘900. La mostra di Montisola gli rende giustamente onore. Mi sia concessa l’eresia: è un piccolo evento culturale che vale di più dei grandi eventi che appartengono al culturismo.
Il suo credo Per essere un buon fotografo ci vogliono delle idee. Questo equivale a pensare