Lezioni di agraria in classe e allevamento nelle stalle «Senza qualifiche, profughi a rischio emarginazione»
Non bastano le mani, o il sudore della fronte. Per lavorare, oggi più che mai serve una «qualifica professionale». Ed è per dare un’opportunità in più ai tanti richiedenti asilo presenti sul territorio che la Caritas di Brescia, la Diocesi e altre realtà locali del mondo cattolico si sono messe insieme con il progetto «Farm training». Si tratta di un percorso professionalizzante, che dura nove mesi. Come un anno scolastico. E lo scopo è offrire lezioni teoriche ma anche tanta formazione sul campo: allevamento, coltivazioni, meccanica agraria, manutenzione e sicurezza. Sono questi i temi da affrontare, sul modello della formazione professionale.
«Con queste competenze i richiedenti potranno inserirsi più facilmente in un contesto socio-economico che richiede competenze» spiega padre Domenico Colossi, presidente del Centro Migranti di Brescia. Lui, che questa formula l’ha già sperimentata in Calabria, ora spera che si possa replicare anche qui. Il progetto — sostenuto dalla Cei con un assegno di 120 mila euro — prevede un percorso triennale: ogni nove mesi, partendo da settembre, 24 stranieri saranno inseriti in questo percorso formativo. Le lezioni, con la collaborazione del «Centro Bonsignori» di Remedello, si svolgeranno nei locali dell’Asilo «Pampuri» di Brescia (Fatebenefratelli), mentre la formazione pratica e gli stage troveranno spazio in tre aziende agricole strutturate della provincia. Come scrive il vescovo di Brescia Pierantonio Tremolada, «in tal modo» anche per coloro che «dovessero far ritorno al Paese di origine, l’esperienza migratoria non verrebbe vanificata». Già, perché la maggior parte delle domande di protezione presentate dai richiedenti asilo viene poi bocciata dalla Commissione (circa il 60%). Ecco perché imparare un lavoro significa avere una possibilità in più. Sia di restare — legando il permesso di soggiorno all’occupazione — sia nel caso dovessero tornare a fare i contadini (o i meccanici) nel Paese d’origine. «Dal “lavoro imparato” arrivano le maggiori sollecitazioni, ecco perché la pratica manuale sarà al centro del percorso. Poi — racconta Alberto Scandolaro, direttore del Centro Bonsignore — la didattica servirà a fissare quanto imparato sul campo».
Si parte a settembre, con il primo ciclo di 9 mesi da mille ore. Verranno individuate 24 persone all’anno per ognuno dei tre anni di progetto (72 stranieri in tutto), tra richiedenti asilo e immigrati che hanno sì un permesso di soggiorno, ma sono a rischio povertà nel caso si ritrovassero disoccupati.
La Diocesi si preoccupa anche dei «minori non accompagnati»: una volta superati i 18 anni, questi ragazzi rischiano di trovarsi «estromessi senza alcuna prospettiva di lavoro».
Da qui «l’urgenza di dare loro una qualifica professionale» ricorda Marco Danesi, vicedirettore della Caritas.