Parla la madre di Spartaco: «Lui combatte per le idee»
«Ha fatto tutto da solo, si è arruolato via Internet. Qui il lavoro andava male ed è partito»
La mamma lo difende: «Non combatte per soldi, ma in nome dei suoi ideali». Ma per la Procura di Genova il figlio, Massimiliano Cavalleri, 43 anni, di Cologne (latitante) fa parte di un’organizzazione dedita al reclutamento di mercenari che combattono per le milizie filorusse in Ucraina in cambio di denaro. Ed è lui stesso, intercettato dagli inquirenti nel 2015, a parlare di compensi, costo della vita e problemi con il visto: «Se rientro in Italia mi arrestano come un terrorista!», dice, salvo poi ricredersi dopo un colloquio con un legale.
«Ma quale mercenario, mio figlio è in Donbass a combattere per le sue idee». Fa caldo a Cologne, poca gente per le strade, finestre socchiuse e una mamma che non rinuncia, sia pur da dentro casa, a far la sua parte per difendere il figlio finito sui giornali con l’accusa di essere un mercenario. Le idee e le convinzioni politiche non si comprando spiega la signora Elena Corsini, la madre di Massimiliano Cavalleri, il colognese finito al centro delle indagini per il suo «arruolamento» sul fronte filo sovietico nel conflitto armato che sta lacerando da anni il Donbass, regione orientale dell’Ucraina.
Sul bresciano di 42 anni pende un mandato di cattura internazionale, emanato nei giorni scorsi dalla procura di Genova, in seguito ad un’indagine su un’organizzazione neofascista che assoldava mercenari per unirsi ai miliziani separatisti dell’Ucraina Orientale, quelli filo-Putin, per intenderci.
Dalla placida Franciacorta alla prima linea in uno dei conflitti più violenti d’Europa. Massimiliano Cavalleri, detto «Spartaco», come compare anche sul suo profilo Facebook, è conosciuto a Cologne. Faceva il carpentiere, cercava come molti di sbarcare il lunario in un periodo di crisi. Qui viene ricordato come uno dei tanti ragazzi che passano le loro serate tra la piazza ed il bar. Apertamente filofascista, non aveva mai nascosto la sua passione per le armi, per l’esercito e la patria. Parlava spesso della sua «naja» nei para’ della Folgore e poi della ferma volontaria negli alpini (su Facebook, molti ex commilitoni lo omaggiano come caporale).
Quando è ritornato nel Bresciano, a Cologne, però il lavoro in cantiere non è mai decollato. Da qui la frustrazione e la scelta improvvisa di partire per fare la guerra. Lasciare tutto per andare a combattere in un esercito non riconosciuto. Spartaco è così partito per l’Ucraina. Come? La madre al citofono della sua casa lo spiega così: «Ha fatto tutto da solo, via internet — racconta — qui non aveva più lavoro ed era stufo della vita che conduceva. Da tempo voleva ritornare nell’esercito, ma qui in Italia non l’hanno accettato per raggiunti limiti d’età».
L’ultima volta che la madre ha visto il figlio è stata a maggio: «Sono andata a trovarlo in Donbass (stato del quale l’uomo ha sventolato con orgoglio il passaporto ottenuto di recente. ndr). Stava bene, certo combatte, ma lì aiuta anche i bambini e la popolazione. Gli hanno chiesto più volte di fare il mercenario, ma lui ha sempre rifiutato. Non sparerebbe mai ai civili. Dicono che prenderebbe fino a 2mila euro al giorno, è una sciocchezza, prende solo una piccola diaria per sostenersi, 200 euro al mese, bastano a malapena per le sigarette».
Con lui sul fronte sono restati pochi italiani. La maggior parte sono andati via. Su Facebook Massimiliano aggiorna continuamente i suoi amici sulla sua attività militare. E quasi ogni giorno chiama la madre via Skype: «Lo sento spesso, ci vediamo al computer. A me sembra sereno».
Anche riguardo alle accuse contestate dalla Procura di Genova contro il gruppo di mercenari, Elena Corsini sta al fianco del figlio: «È una bolla di sapone. È una questione politica. Massimiliano non è in quella terra per i soldi, ma perché crede in quello che fa. Lui dice che qua in Italia stava male con il Governo che c’era, secondo lui l’Europa è ingiusta.
I rapporti Ci sentiamo spesso via Skype, sono stata anche a trovarlo, stava bene. Lì aiuta tanti bambini
È partito per questo».
Quando alla donna viene chiesto del futuro del figlio, però la voce si fa incerta: «La sua è una scelta che io non trovo giusta. Non so che farà. Gli manca la sua terra, a gennaio dell’anno scorso è tornato qui per qualche giorno». Però adesso pende un mandato di cattura, e se tornasse sarebbe arrestato e processato. «Deve ancora decidere cosa fare. Per ora resta in Donbass. La situazione sta migliorando, però la guerra non è finita. Si spara ancora. Lui dice che tutta questa situazione si sgonfierà. Io me lo auguro davvero».
A Cologne è giorno di mercato, e tra la bancarelle non si parla che del mandato di cattura internazionale che pende sulla testa di Massimiliano Cavalleri, un compaesano. Lo stupore è generale. «Come è possibile che un colognese sia finito a fare la guerra in Ucraina?» è la domanda che si fanno tutti. Un ragazzo apparentemente come tanti, passato dalle partite a carte al bar ai fucili ed i mitra in terra straniera. Armi che ostenta con sicurezza sul suo profilo Facebook, che alimenta anche dopo quel mandato di cattura che lo rende ricercato in tutta Europa. L’ultimo contatto è di giovedì alle 7 e qualcuno commenta in Ucraino: «Siamo con te, le notizie italiane ci fanno ridere».