Inquietanti, amate muse
Carla Boroni tratteggia i profili di dieci donne legate a scrittori italiani dell’Otto e Novecento Dalla madre di Leopardi alla sorella di Pascoli passando per le figure della Duse e della Aleramo
Muse ispiratrici e vestali dell’altrui creatività. Fonte di sogni erotici e caste compagne di vita. Conturbanti presenze e algidi contraltari intellettuali. Madri matrigne e sorelle soccorrevoli. C’è tutta la gamma dell’eterno feminino nell’universo muliebre che ha di volta in volta conquassato, ispirato e placato le vite dei sommi della letteratura.
Carla Boroni, che ha già indagato la materia con acume, sostanziosa cultura letteraria, gusto dell’aneddoto e autentica simpatia umana, offre dieci sapidi ritratti in «Donne di cuori. Donne di picche. Storie d’amore (e non) nella letteratura italiana fra Otto e Novecento» (Sefer editore, pagine 154, euro 14). La plaquette, che concede il giusto alla curiosità di chi vorrebbe scrutare fra le pieghe della vita e dei letti degli scrittori, è arricchita da una partecipe prefazione di Roberto Gitti. Il risultato — parole della stessa Boroni, che insegna Letteratura italiana contemporanea e moderna alla Cattolica di Brescia — «è uno scenario fatto di cronache mondane, qualche scandalo, fughe e tradimenti, persino ‘eterni’ amori coniugali”». Antonietta Fagnani Arese (già sposata e concupita da più d’uno) è ad esempio «la più bella, dolorosa e faticosa amante» dell’allora 24enne Ugo Foscolo. A una dimensione sponsale rassicurante, scandita da gravidanze e assoluta dedizione al coniuge, rimanda Enrichetta Blondel moglie di Alessandro Manzoni: «Dimenticava se stessa godendo delle mie soddisfazioni e delle miei gioie nelle quali faceva consistere la sua felicità» scriverà don Lisander ormai vedovo.
Le donne plasmano la creatività maschile anche in veste di genitrici, specie quando creano un clima di atonia sentimentale attorno al figlio-artista: accade con Adelaide Antici in Leopardi che nei confronti del figlio Giacomo fu sempre fredda e «nelle prestazioni materne sentiva un unico indiscusso senso del dovere, sottolineava con sottile piacere quel suo essere priva di slanci e di partecipazioni affettive». Sta lì, plausibilmente, la radice del pessimismo leopardiano. Esempio «modernissimo di femminilità complessa e spregiudicata» è quello della Pisana, l’unica «donna di carta» – uscita della penna e dal vissuto di Ippolito Nievo – che Boroni include nella sua antologia.
Il rapporto fraterno più estenuante e solido della storia della letteratura è quello fra Giovanni Pascoli e la sorella Maria: «Nel sogno ossessivo del poeta, Mariù finisce con l’incarnare tanto l’antica famiglia perduta, quanto la nuova che non ci sarà mai». Eleonora Duse era già affermata quando incontrò Gabriele D’Annunzio, di cinque anni più giovane di lei, che la emancipò da schem teatrali obsoleti e la plasmò. Ne nacque un rapporto inestinguibile e ineguale: «Tutto in lui fu calcolo, mentre per lei, arsa da un malinteso romanticismo degli epigoni, oltre che dalla tubercolosi, la passione risultò sempre drammatica, profonda e totale».
Altrettanto lungo, accidentato e totale, ma in un più convenzionale ambito matrimoniale, il rapporto fra Umberto Saba e la moglie Lina Woelfler: «Lina aveva rappresentato il porto della sua vita. Mentre egli fu sempre, invece, la nave errante». E così Lina continuò a rappresentare «la protezione calda di un nido sicuro e sereno». Non a caso era ancora lei a campeggiare ne «L’ora nostra»: «È l’ora grande, l’ora che accompagna/meglio la nostra vendemmiante età».
All’insegna di una bruciante passione e di un’altissima scrittura epistolare (lui arrivava a scriverle tre volte al giorno) è invece il rapporto fra il 22enne Vincenzo Cardarelli, poeta debuttante, e la 33enne e già affermata Sibilla Aleramo: li lega un amore «fugace, forte e straziante», che da parte di lui implica «una tensione costante e furibonda».
Le peregrinazioni esistenziali e geografiche di Giuseppe Ungaretti trovano la loro consolazione nella moglie Jeanne Dupoix: è lei che «gli addolcisce quella vita inebriante, stordente e faticosa di poeta e uomo di pena». A una sfera umanamente incompiuta rimanda infine il rapporto fra Eugenio Montale e Lucia Rodocanachi, figura «eccentrica, magnetica» a cui il futuro premio Nobel assegnava il titolo di Madame Sévigné del Novecento, forse per la sua capacità di riunire nella casa di Arenzano il meglio dell’intellettualità dell’epoca, da Roberto Bazlen a Elio Vittorini. Di certo per il poeta di «Ossi di seppia» Lucia rappresentava «un’epifania di senso, una sublime compagna di scrittura». Boroni non scioglie l’enigma del loro rapporto: «Chissà se fu innamoramento o amore, simpatia o complicità». Su di loro resta «il peso della condanna per due anime che non s’incontrano». Perché le donne di cuori degli scrittori sanno rivelarsi spesso anche donne di picche: un’incompiuta, un sogno non corrisposto, una tensione irrealizzata.
L’opera «Donne di cuori, donne di picche» ha una prefazione di Roberto Gitti
L’autrice: nel libro e nelle sue protagoniste ho unito cronache mondane, qualche scandalo, fughe e tradimenti, persino «eterni» amori coniugali
L’unica «donna di carta» di cui mi occupo nel libro è la Pisana di Ippolito Nievo, emblema modernissimo di femminilità complessa e spregiudicata