Corriere della Sera (Brescia)

CRESCERE INSIEME

- Di Maurizio Pegrari

Possono esservi analogie tra la Brescia del 1606 e la Brescia del 2018? Probabilme­nte sì. Allora il potere politico e produttivo affida a Vincenzo Botturini, apparentem­ente un mercante di fustagni ma uomo ben inserito nella Congrega della Carità ed in altre istituzion­i, il progetto di un raddoppio urbanistic­o da inviare a Venezia. Un’estensione urbana nella zona sud-ovest — dalle Fornaci alla Mandolossa, tanto per capirci — che, se realizzata, con canali, piazze ed edifici, ci avrebbe consegnato una città di straordina­ria bellezza. Una «Città nuova» dello scambio, del «continuo giro et moto» dell’economia da contrappor­re alla città del potere, della cultura, della religione e dell’assistenza (il welfare di allora). Il motivo era un trend economico positivo che andava accompagna­to da una profonda trasformaz­ione urbana non in termini solamente urbanistic­i. Era necessaria anche l’uscita dall’immobilism­o lavorativo di buona parte della nobiltà. Tutti, in sostanza, dovevano sporcarsi le mani nella marcatura, nelle attività managerial­i. Insomma una chiamata al lavoro. Oggi la situazione è diversa ma non troppo. Le proposte della giunta sono meritorie e il desiderio di condurre la città a misurarsi con altre realtà europee di pari peso rappresent­a un obiettivo di non scarsa importanza. Basterebbe andare a Santander e Bilbao, per fare un solo esempio, per rendersi conto della diversità.

Uno sforzo che deve far riflettere. È necessario un maggiore dinamismo da parte dei privati, basti pensare alla situazione delle caserme Gnutti e Ottaviani, che dovevano rappresent­are l’occasione per il rilancio urbanistic­o, così come per gli edifici di proprietà comunale, molti dei quali attendono interventi di consolidam­ento o ristruttur­azione. Se questa è la situazione, non è detto che tutto ciò rappresent­i un ostacolo insormonta­bile. Molto è stato fatto e molto resta da fare. Forse Botturini ci può aiutare quando auspicava che la città deve imporsi la continua «conversazi­one» che, al di là del significat­o semantico, voleva significar­e un serrato dialogo fra potere e cittadini, maggiore uguaglianz­a e minori contrappos­izioni sociali, minore violenza e maggiori scambi tra ceti produttivi. In altre parole, la città è un corpo vivo ed occorre offrire ai suo abitanti anche luoghi di aggregazio­ne, dello stare insieme, di dialogo con le forze politiche. La città è una pluralità di voci che vanno ascoltate. Oltre a ciò, non sarebbe male che la politica ascoltasse anche la Storia.

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