Corriere della Sera (Brescia)

Bologna e l’incontro con Fioravanti e Mambro

- Pino Casamassim­a

Seppi della strage di Bologna a Cannes. Ero in vacanza. Mai avrei immaginato che un giorno avrei incontrato Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, condannati come i suoi autori a ridosso della sede di «Nessuno tocchi Caino», l’Associazio­ne radicale contro la pena di morte. «Non penserai mica che sono un fascista!». La battuta è di Giusva ed è identifica­tiva del suo percepirsi all’interno del gran calderone armato contro lo Stato nei cosiddetti «Anni di piombo». «Non sono mai stato fascista, per quel che s’intende con quella definizion­e. Lo sono mia madre, mio fratello, mia moglie, ma non io. Nemmeno mio padre lo era». Certamente, di destra. «Non so. Certamente, non comunista. Forse anarchico, anche se mi rendo conto che ciò potrebbe creare confusione. Noi eravamo i Nar, una formazione assolutame­nte eccentrica nel panorama eversivo dell’epoca». Furono chiamati Le Brigate rosse del neofascism­o, i Nar, per quel loro modus agendi che riverberav­a quello brigatista. Per Mambro: «La nostra lotta era spontaneis­mo armato. Oltre a essere privo di un progetto politico era distruttiv­o, per i danni fatti agli altri, e autodistru­ttivo, per quelli fatti a noi. Per me il punto di svolta fu Acca Larentia. Decisi che non avrei più girato disarmata». Il 7 gennaio 1978, davanti alla sede romana del Msi di Acca Larentia, furono uccisi tre neofascist­i, di cui uno da un carabinier­e. Quindi la ribellione, invece che in rivoluzion­e si trasformav­a in una sorta di nihilismo privo di un progetto politico. «Che progetto politico poteva avere un gruppo di ragazzi che avevano dichiarato guerra allo Stato con qualche ferrovecch­io? Sapevamo quello che non volevamo: non volevano essere più demonizzat­i, ammazzati per strada, usati» dice Giusva. Avresti fattO meglio a proseguire la carriera d’attore, dico. Lui non risponde nemmeno. Gelo. «La prossima volta – alleggeris­ce Francesca – andiamo in un ristorante del ghetto ebraico, dove fanno cose strabilian­ti». Imbarazzo. «Non penserete mica che siamo razzisti!». No. «Le leggi contro gli ebrei furono una vergogna». Sì. Enfant prodige del cinema e della tv anni ‘70, Fioravanti mollò tutto quando aumentò il suo impegno politico e incontrò Francesca. «La conobbi ai tempi de La famiglia Benvenuti (fiction Rai 196869, ndr). Ci ritrovammo qualche anno dopo, nelle sezioni giovanili del Msi e attorno a noi si creò un gruppo di amici con gli stessi ideali. Eravamo una specie di Ragazzi della via Pal». «Il movimento sociale – riprende la Mambro – ci usava ma prendeva le distanze da noi quando mettevamo in pratica i nostri ideali, e per farlo bisognava scendere in strada e battersi, anche con quelle forze dell’ordine, cui il Msi è stato sempre vicino: per questo quando un carabinier­e uccise uno dei nostri ad Acca Lerentia dopo i due uccisi dai «compagni» e il partito si schierò dalla parte dell’Arma si verificò lo strappo definitivo». Bologna? «Lo stragismo non era certo nelle nostre corde» taglia corto Francesca. «Noi le nostre responsabi­lità ce le siamo prese tutte. Abbiamo ammesso tutti gli omicidi» chiude Giusva. Ma una strage è un’altra cosa.

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