Boris il (finto) magnate e le truffe: in 4 chiedono lo sconto di pena al gup
Quando stringeva la mano di una nuova «vittima» o rispondeva al telefono si faceva chiamare Boris. Boris, il magnate russo. In realtà era però Marco Braidic: origini slave, 47 anni, una villa a Puegnago, truffatore di professione con una sfilza di precedenti alla spalle. Nei guai è finito di nuovo lo scorso aprile: i carabinieri di Manerba, con i colleghi di Palmanova, l’hanno arrestato per truffa. Come lui, in carcere, finì anche la sorella Roberta, 42 anni. Ai domiciliari, invece, la gemella Gigliola e il nipote Giuseppe, che di anni ne ha 24. In genere bastavano gli annunci online per truffare i potenziali acquirenti, o venditori, salvo non fossero disponibili a «cambiare» grosse somme in banconote di piccolo taglio: una volta consegnati i soldi nella sua villa «Boris» si defilava, mentre i famigliari intrattenevano il malcapitato che se ne sarebbe andato di lì a poco a mani vuote. E sotto minaccia. In udienza preliminare davanti al gup Giulia Costantino le difese dei quattro imputati hanno chiesto siano processati con rito abbreviato. L’udienza è stata quindi rinviata al 12 dicembre per la discussione. Il gip Anna Di Martino — che firmò le misure cautelari — li definì una vera e propria associazione a delinquere, benché il sistema truffaldino fosse caratterizzato «da un modesto organigramma e da una struttura non particolarmente sofisticata»: indubbia — scrisse — «la consapevolezza di ciascun associato di far parte di un sodalizio e di partecipare alla realizzazione di un programma criminale duraturo». Trattavano di tutto: da una berlina Bmw da 78 mila euro a un trattore, passando da orologi di lusso fino a un appartamento a Bedizzole. Al finto magnate bisognava consegnare un anticipo cash: 5 mila, 7 mila, 12 mila euro. Agivano «secondo un modello ripetitivo», simile a quello che già li aveva messi nei guai nel 2013 e 2015.