Dieci giorni di ricerche a Castello della piccola Iushra
La deposizione di Giada, che a 14 anni ebbe rapporti con loro. Il pm: credevano fosse consenziente
Il 19 luglio Iushra, la ragazzina di 12 anni autistica si è dileguata nel nulla, scappando agli accompagnatori Fobap durante una gita. La piccola è stata cercata a lungo, gli speleologici si sono calati nel sottosuolo dell’Altopiano di Cariadeghe a Serle, i cani hanno cercato tra i cespugli, i volontari hanno cercato tra arbusti e rocce, ma senza successo. Ora si torna a cercare, nella speranza di trovare un segno, una traccia. La zona prescelta è quella di Castello, una frazione del paese, dove la ragazzina sarebbe stata vista da un residente del paese, nelle vicinanze di una panchina.
Non sapevano e non avrebbero potuto sapere. Che lei fosse «succube» delle manipolazioni e i presunti abusi del maestro. Che lui la costringesse ad acconsentire, perché in caso contrario «mi avrebbe umiliata e insultata, facendomi sentire una nullità». Erano convinti che lei fosse consenziente: visto il silenzio, e quei messaggi provocanti inviati (non da lei, però) dal suo cellulare,con le foto hard. «No, che non volevo. Mi facevo schifo». Eppure loro credevano che quei rapporti a tre le piacessero, in fondo.
Lei è Giada, oggi 22 anni, unica parte civile nel processo in dibattimento a carico di due uomini (hanno 41 e 45 anni) — padri di ragazzini che come lei frequentavano il corso di karate nella palestra di Lonato — accusati di aver abusato della ragazza. Insieme al suo ex istruttore Carmelo Cipriano, 44 anni, già condannato in abbreviato a nove anni e mezzo di reclusione.
Ha pianto Giada. Si è arrabbiata, mai contraddetta. Davanti al presidente della prima sezione penale Roberto Spanò ha ripercorso gli esordi in palestra, nel 2006, a soli 10 anni. E «il primo approccio di Cipriano, quando avevo 12 anni, durante un pigiama party». Ne passeranno quasi otto prima di arrivare alla mattina di Natale del 2016, «quando arrivata a Lonato per gli auguri, vidi un’altra ragazzina di 15 anni uscire dallo stanzino in cui le violenze si consumavano. E ho ricordato tutto, realizzando che stava facendo anche a lei le stesse cose che avevo subito io».
Con Carmelo Giada ha rapporti sessuali fino a 17 anni, ma «no, non ero innamorata di lui». Lui che però «aveva fatto terra bruciata intorno a me. Mi diceva che avrei dovuto metterlo al primo posto perché tanto nessuno a me teneva davvero se non lui: non i miei genitori, o gli amici». Ma arriva un momento in cui il gioco a due non gli basta più. Nel 2010 — Giada ha compiuto da poco 14 anni — mi propose prima di partecipare a una chat erotica, dovevo spogliarmi, altrimenti si arrabbiava. Poi, di fare sesso a tre, era il suo sogno, diceva». Ma «mi sentivo sporca, ho provato a dirgli che non volevo, ma non riuscivo a ribellarmi». Il nodo processuale, su cui il presidente insiste parecchio, sta proprio nelle eventuali modalità di «costrizione» di cui Giada sarebbe stata vittima: ma da parte dei due imputati, non di Cipriano («mi convinceva facendomi sentire in colpa per non essere in grado di renderlo felice») benché le vicende siano strettamente legate.
Con il 45enne («che in palestra portava i figli della compagna») ci fu «solo un incontro» intimo: «Un sabato pomeriggio, nel 2010, sul tappeto, nel salone in cui ci si allenava a ka- rate». I preliminari e un rapporto completo, «con entrambi»: il maestro e l’amico. «Certo che Giada potevi fare di meglio», l’avrebbe poi rimproverata il primo.
Sempre l’istruttore, qualche settimana dopo, avrebbe poi organizzato il secondo incontro, con il 40enne. Stavolta nell’infermeria adibita ad alcova. Tre gli episodi raccontati da Giada: solo uno che si conclude con la masturbazione della ragazzina, in seguito all’incitamento di Carmelo: «Dai, adesso toccala tu». «E io ero come pietrificata».
«Che cosa avevi al di fuori della palestra, Giada?». Alla domanda del giudice lei prende fiato e si commuove. «Niente».
Per questo, sollecitata dal suo avvocato, Riccardo Caramello, ammette: «Di Carmelo avevo paura. Paura che mi mettesse le mani addosso, che se non l’avessi accontentato e assecondato non mi avrebbe più fatto frequentare la palestra, che era diventata il mio unico mondo, con i miei unici amici. Avevo paura di restare sola, come diceva lui». Già vittima di un precedente tentato abuso, racconta, «non volevo dare altre preoccupazioni ai miei genitori». Ma loro, gli imputati, non potevano sapere.