Montini e Roncalli le lettere di due amici al servizio della Chiesa
Apparentemente diversi, ma legati dalla stessa voglia di rinnovamento
Due papi lombardi e santi. Dietro di loro due famiglie diverse: una di agricoltori, l’altra di estrazione borghese. E due paesi neppure troppo differenti, come del resto le diocesi che li hanno espressi: Sotto il Monte e Concesio, Bergamo e Brescia. Ovvero i luoghi delle radici, della vocazione, della formazione, dei quali si sentirono debitori tutta la vita senza dimenticare il peso di tutta una tradizione lombarda intrisa di partecipazione al cammino della vita ecclesiale e civile.
Quella che da San Carlo ai cardinali Ferrari, Schuster, e del papa di Desio, Achille Ratti, Pio XI, ha permeato coscienze e comunità, clero e laicato, percorsi e istituzioni, sotto «Il bel ciel di Lombardia»: dove religione ha sempre significato anche studi ed educazione, economia e dottrina sociale, editoria e scuola. Ed altro ancora. Giovanni XXIII e Paolo VI. Sì: «simili e diversi», disse di loro l’allora cardinale Joseph Ratzinger, definendo il Concilio «un’esperienza fondamentale anche per il passaggio tra i due papi, realmente consoni nelle loro intenzioni fondamentali, ma con personalità del tutto diverse». La storia del legame fra questi due pontefici oggi sugli altari si può seguire seguendo la loro corrispondenza: 201 lettere che pubblicai anni con il titolo «Lettere di fede e amicizia» fa insieme all’ex segretario di Papa Roncalli, in limine vitae cardinale centenario, Loris Francesco Capovilla. Un corpus epistolare che è per tutti e due, specchio nitido di una fede forte come la roccia e di un’amicizia discreta. Missive alternatesi nel segno di un servizio che ha sempre privilegiato ragioni pastorali e religiose, tasselli utili a ripercorrere le vicende di due sacerdoti chiamati a grandi responsabilità, ma prima ancora prova di una comunione spirituale proiettata sull’essenziale e gli orizzonti più alti, cementata dall’intelligenza del cuore e dalla sollecitudine per progetti mai riguardanti le proprie persone, ma la Chiesa e gli altri. I due si conoscevano già dall’inizio degli Anni ‘20 : il primo contatto epistolare reperito è del ‘25 e documenta un invito per una predicazione ai fucini, rivolto da Montini a Roncalli (che a Bergamo aveva diretto una «Casa dello studente»). L’ultima lettera, del 25 maggio ‘63, reca la firma di chi nel frattempo era diventato arcivescovo di Milano e cardinale e si rivolgendosi all’amico, papa dal 28 ottobre ‘58, ma ormai quasi in agonia, gli augura di poter essere presente alla seconda sessione del Concilio «rinfrancato nelle forze del corpo e sempre magnifico in quelle dello spirito».
Fra queste due missive un corpus epistolare che presenta lettere scambiate fra Istanbul - dove Roncalli risiedette come delegato apostolico di Turchia e Grecia- e il Vaticano, dove Montini era da poco Sostituto in Segreteria di Stato (1938-1943); altre tra Parigi dove Roncalli successivamente fu promosso nunzio, e monsignor Montini sempre più accanto a Pio XII (19441953); altre ancora fra Roncalli patriarca di Venezia, e Montini ben presto arcivescovo di Milano (1953-1958); le rimanenti cinquantasette relative al pontificato giovanneo (19581963). Un carteggio che documenta con la stima e l’amicizia, informazioni preziose: sulla collaborazione fra i due durante la guerra a contrastare la persecuzione degli ebrei e nel periodo postbellico a gestire la situazione dei vescovi che avevano collaborato con il regime di Vichy nella Francia liberata. Quindi si trova ad illustrare le esperienze pastorali sulla cattedra di San Marco e di sant’Ambrogio in anni di grandi cambiamenti -anche politici- nelle comunità dei credenti, con reciproci e costanti scambi di vedute, mai mancati in vari modi anche indiretti dopo l’elezione di Roncalli sulla cattedra petrina, e soprattutto, dopo l’ annuncio e l’avvio tumultuoso del Concilio, nel quale Montini non esitò a mettersi in gioco. A ben guardare già negli ultimi anni del pontificato di Papa Pacelli sembra intrecciarsi fra Montini e Roncalli un confronto alla pari nella consapevolezza di una Chiesa bisognosa di aggiornamento senza rinunciare in niente quanto al «depositum fidei», come pure di un nuovo approccio alla società contemporanea. E allora diventa meno difficile capire il senso di lapidi, certo un po’ sibilline, come quella posta all’ingresso di Ca’ Maitino, la residenza estiva di Angelo Giuseppe Roncalli nel suo paese natale, dove ad esempio si legge: «La solennità dell’Assunta 1955. /Presago colloquio sui destini della Chiesa/ Quassù intrecciarono Angelo Gius. Roncalli patriarca di Venezia/ Giovanni B. Montini arcivescovo di Milano/ Acclamati successori di Pietro/Giovanni XXIII 1958/ Paolo VI».
I tempi della guerra
Insieme si occuparono di contrastare la persecuzione degli ebrei
L’ultimo messaggio
Nel ‘58 l’arcivescovo di Milano scrisse al Papa malato: vi aspetto rinfrancato al Concilio
Le radici
Diventare Papa per lui non ha mai voluto significare perdere i legami con la sua terra Era affezionato ai luoghi della sua infanzia. Non smise mai di essere figlio di questa diocesi
I valori
Cosa amiamo di più di lui? Innanzitutto la fede poi l’amore per l'umanità e per il mondo che non è venuto meno anche quando talvolta si è scontrato con l’arroganza ingrata