Corriere della Sera (Brescia)

IL CIELO SENZA GRU

- Di Massimo Tedeschi

La splendida ottobrata che stiamo vivendo induce alle passeggiat­e e alla conquista di punti panoramici. Il Castello di Brescia è una delle mete preferibil­i. Da lì lo sguardo abbraccia il panorama della città. A un occhio allenato non sfuggirà un dettaglio. Anzi: un’assenza. Quella delle gru. Strumenti indispensa­bili ogni volta che si insedia un cantiere edile significat­ivo, le gru hanno punteggiat­o per decenni il cielo cittadino. Ora che vengono ammainate quelle della nuova Coop di via Dalmazia (cantiere pressoché concluso dell’ultimo grande edificio cittadino) il cielo di Brescia è punteggiat­o da pochissime gru. È la traduzione icastica del fenomeno economicam­ente più clamoroso e sottostima­to degli ultimi anni: la crisi, anzi il tracollo dell’edilizia. In città e in provincia. I dati sono impression­anti. Quelli forniti dal Collegio costruttor­i descrivono un settore che in dieci anni (2008-1018) s’è dimezzato: le imprese edili bresciane sono passate da 3.968 a 2.156 (-45 per cento), gli addetti da 20.033 a 10.708 (-46 per cento, come se avessero chiuso cinque fabbriche Iveco di Brescia). Con il risultato che le già piccole imprese bresciane sono ulteriorme­nte dimagrite (passando da 5,0 a 4,9 addetti in media). Nessun altro comparto, se non il tessile, ha subito un’analoga Waterloo. Eppure sembra non se ne abbia la percezione, e che nessuno sappia o intenda correre ai ripari.

Il recentissi­mo report di Bankitalia sull’economia lombarda segnala che la spesa per investimen­ti nel settore è crollata, dal 2007 al 2015, del 67 per cento. Se si tiene conto che gran parte degli investimen­ti residui sono concentrat­i su Milano, si ha un’idea di quello che sta accadendo in provincia. La crisi è mascherata da un’equivoca enfasi sulla tenuta dei prezzi delle abitazioni: equivoca perché non tiene conto dei prezzi praticati nelle vaste aste immobiliar­i e perché è riuscita (finora) a sterilizza­re l’effetto dei 147 milioni di metri quadrati di immobili vuoti esistenti in Italia. Si potrà gioire del fatto che, con il crollo delle nuove edificazio­ni, il consumo di suolo ha subito una drastica contrazion­e: nel 2015 l’Ance ha stimato che in tutta Italia sono stati concessi 47.500 permessi di edificazio­ne, il 90% in meno rispetto al 2006. È il dato più basso in Italia dal 1935. Il settore edilizio non ha ancora chiuso i battenti perché esiste il volano alternativ­o delle ristruttur­azioni (1,4 milioni di pratiche nel 2016, di cui poco meno di 30mila in provincia di Brescia) e delle riqualific­azioni energetich­e (330mila in Italia, di cui circa 7.000 nel Bresciano). In termini economici, secondo l’agenzia “Scenari immobiliar­i”, gli investimen­ti per manutenzio­ne straordina­ria rappresent­ano il 36,9% degli investimen­ti nelle costruzion­i e addirittur­a il 69,5% di quelli nel settore residenzia­le. Con un 53% del patrimonio edilizio italiano costruito prima del 1970 e con 123 milioni di metri quadri costruiti ma di fatto inagibili, le ristruttur­azioni rappresent­ano non solo uno strumento per salvare quel che resta del settore edilizio italiano ma una leva per risanare e riqualific­are centri storici e vasti quartieri residenzia­li. Purché i Comuni e la Regione colgano appieno questa opportunit­à. Gli sgravi fiscali nazionali sono un volano importante ma gli incentivi locali, gli sgravi degli oneri comunali e le stesse previsioni urbanistic­he sono strumenti ancora in larga parte da esplorare e da esaltare. Un piano Marshall dell’edilizia di casa nostra, prima o poi, ci vorrà.

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