Il filosofo a Ibiza
C’è una grammatica visuale, c’è sempre uno sguardo come taglio e punto di vista, assorto e febbrile, nelle opere narrative di Carlo Simoni: Thomas Mann e Gustav Klimt sul lago di Garda, per esempio (L’incompleto conoscersi, L’ombra dei grandi), che scrutano l’oltre o rimangono allucinati. Anche ne Il miserabile (Castelvecchi, pp. 123, euro 14,00) vengono sottolineati il tramite, il formato dell’inquadratura, la finestra sul cortile di hitchcockiana memoria, la quarta parete in movimento: come quando un treno in transito vicino alle case lascia intravvedere ai passeggeri gli interni delle case. Pochi attimi solamente, quanto basta a depositate nella retina un sintagma, una sequenza, un frame. L’occhio non è soltanto l’organo della vista, ma è anche lo specchio dell’anima che riflette gli strapiombi interiori. Sulla pagina assistiamo ad una ragnatela di sguardi incrociati, come ne Las Meninas di Velasquez. Cinema puro su tela.
Il libro ci parla di Walter Benjamin, scrittore asistemanalsocialismo tico (critico letterario, filosofo, saggista, narratore), intellettuale curioso e diagnosta implacabile delle contraddizioni del ‘900, uomo fragile, ebreo e comunista, dunque vittima designata, figura tragica di eterno fuggitivo senza fissa dimora. Un figlio squattrinato della borghesia, bocciato dal mondo accademico che gli nega la cattedra, costretto al precariato delle collaborazioni con i giornali e agli stenti della sopravvivenza. Diversamente da Bruno Arpaia che ne aveva raccontato gli ultimi giorni con il suicidio a Port Bou, braccato dalle SS di Hitler, Carlo Simoni lo rievoca nei nove mesi che egli trascorse tra il 1932 e il 1933 a Ibiza, l’isola spagnola che all’epoca non era ancora assediata dal turismo di massa.
Un biennio miliare e switch: finisce la repubblica di Weimar e decolla il nazio-
Dato storico L’autore di Angelus Novus visse sull’isola delle Baleari fra il 1932 e il 1933
con il suo crescendo mortifero.
Benjamin non ci appare come lo aveva ritratto Gisèle Freund, un’altra celebre «ragazza con la Leica» che ce lo consegna marmorizzato come l’icona di un aristocratico del pensiero. È un essere invece impacciato con i capelli arruffati, gli abiti lisi e ciancicati, che accetta l’ospitalità con decenza, la mattina va a nuotare e poi, sempre in giacca e cravatta, munito di coperta su cui sedersi, si inoltra nel bosco con alcuni libri da leggere e gli immancabili quadernetti per gli appunti. Sull’isola Benjamin frequenta i bar, va al cinema, incontra gli abitanti per succhiare storie, sperimenta gli effetti dell’oppio e dell’hashish, cerca soprattutto la solitudine e la lontananza, perché ha «l’anima dell’eremita». Sembra inadeguato in ogni circostanza sociale, eppure è charmeur inesausto. Si innamora di tutte le donne che incontra e molte donne si innamorano di lui, che vellica protezione e voglia di tenerezza. A non resistergli è l’io narrante, Guyet Selz, moglie di Jean, i due amici dell’isola.
Ma nella premessa Simoni gioca a carte scoperte: documenti e verosimile governano il filo del racconto, lasciando qualche margine all’immaginazione. L’intento del libro non è quello del ritratto, la sua polpa buona e vera è un’altra, di natura epistemologica e metaletteraria, intimamente benjaminiana e moderna: con la scorta dei testi (Infanzia berlinese, Il narratore, Esperienza e povertà…) ci si interroga sul declino del narrare, perché la narrazione non può più comunicare esperienza, e perché, nella frantumazione dell’io e nella prolificazione seriale delle copie, è venuto meno il rapporto tra uomo e verità. Scrivere implica comunque una condizione monastica, scrivere significa aprire ferite e ricorrere alla chirurgia.
Dotato di charme
Il pensatore tedesco si innamora di tutte le donne che incontra e molte lo ri-amano