Giacomo Poretti: «Ecco le istruzioni per creare anime»
Poretti in «Fare un’anima»: «L’umorismo spiega le cose più difficili»
a Nel museo contemporaneo delle memorabilia Giacomo Poretti ha diritto ad una saletta tutta per sé, solo per aver inventato insieme a Carlo Turati, il personaggio di Tafazzi, l’autolesionista che allegramente si randella i genitali con una bottiglia di plastica: una maschera italianissima e di grottesca profezia che non sfigura nella galleria che va da Bertoldo a Fantozzi passando per Arlecchino. «Quando l’abbiamo ideata, non pensavo che avrebbe suscitato tutto questo clamore — ci rispo nde il comico milanese —. Purtroppo continuiamo a farci del male, siamo ottusi, non ci ascoltiamo». Martedì, ore
20.45, Poretti è atteso all’Odeon di Lumezzane con Fare un’anima nell’inedita veste di solista, senza le spalle Aldo e Giovanni. Sul palco solo il 33% del trio, come ama definirsi lui.
Un titolo bellissimo, perché fare è il verbo più manuale che esiste, mentre l’anima è immateriale. Che senso ha parlare di anima in un’epoca il cui assistiamo al trionfo del corpo?
«Proprio questa riflessione mi ha portato a scrivere questo spettacolo. Anima è una parola che risuona antichissima, anacronistica, addirittura rischia di estinguersi, perché le parole che non vengono più proferite e scritte, scompaiono. L’idea mi è venuta partendo dai vizi della contemporaneità. L’uomo ha le sue sicurezze, crede ciecamente nella tecnologia, ma può bastare?».
Al monologo ha collaborato uno scrittore bresciano, Luca Doninelli. Lei ha pubblicato il libro Al Paradiso è meglio credere, un romanzo che parlava di fede. Scusi, ma lei è ancora un comico?
«Con Luca siamo amici da anni e mi ha dato preziosi consigli. Certo, l’argomento è serio, il libro è parente dello spettacolo, ma le assicuro che ci si diverte, l’umorismo spiega le cose più difficili. Si sollevano domande che tutti, credenti o meno, ci poniamo. Che ci facciamo qui, perché la morte, c’è un’anima che resta? L’idea del monologo mi frulla in testa da quando nacque mio figlio Emanuele. In quell’occasione in ospedale un sacerdote disse a me e mia moglie: bene, avete fatto un corpo, ora dovete fare l’anima. Mi lasciò interdetto: uno pensa che il proprio figlio diventi ingegnere o Pallone d’oro. La comicità del testo nasce dalla constatazione che, oggi, l’anima sembra la cosa più anti-moderna che possa esistere nell’epoca degli algoritmi dei big data».
Come trio, vi siete presi due anni sabbatici. E poi?
«Faremo un film insieme. Ci siamo presi una vacanza, lo avevamo deciso già quando ci siamo messi insieme».
Fare un’anima replicherà la sera dopo al Politeama di Manerbio (poi il 28 novembre a Erbusco; il 6 dicembre a Breno; il 7 febbraio a Edolo; l’8 febbraio a Brescia).
"L’ispirazione
Mi è arrivata quando è nato mio figlio. Un prete ci disse: bene, avete fatto un corpo, ora dovete fare l’anima