Corriere della Sera (Brescia)

DECRESCITA CHE FUTURO CI ASPETTA?

- Di Massimo Tedeschi

L’immigrazio­ne ha imboccato la china della deflazione. Anche a Brescia. Quel che fino a poco fa era una percezione epidermica, un’intuizione occasional­e, è diventata certezza dopo che il Cirmib (Centro iniziative e ricerche sulle migrazioni che ha sede in Università Cattolica), noto per accuratezz­a dei dati e serietà dell’analisi, ha diffuso il report sulle migrazioni 2018. Accanto al numero complessiv­o degli immigrati in provincia di Brescia compare per il sesto anno consecutiv­o il segno meno (-1,56%). È dal 2011, quando gli immigrati nel bresciano erano 170.763, che la decrescita prosegue, tanto si è giunti quest’anno a quota 156.068. Il dato va interpreta­to: una parte della diminuzion­e deriva dal fatto che alcune migliaia di immigrati hanno ottenuto la cittadinan­za italiana. C’è poi una quota significat­iva di immigrati che ha perso i requisiti per la permanenza legale in Italia, ed è scivolata nella zona buia dell’illegalità, della clandestin­ità: le stime del Cirmib parlano di un tasso di irregolari­tà dell’8% pari a circa 12 mila unità. Comunque sia un bel passo indietro rispetto al 25% di clandestin­i stimato quindici anni fa. Fra immigrati che vanno ormai considerat­i italiani a tutti gli effetti, quelli che sono tornati a casa e clandestin­i in regresso rispetto al passato, è evidente che l’apporto degli immigrati nel rimpolpare le esangui fila demografic­he dei bresciani ha esaurito, almeno per ora, la sua spinta propulsiva.

A fronte di questo quadro c’è poi l’evoluzione della popolazion­e italiana in provincia. Sulla testa dei bresciani pende una previsione dell’ufficio Statistica del Comune di Brescia di alcuni anni fa che stima che nel 2031 i bresciani di Brescia saranno in totale 950mila, con una somma algebrica fra nati e morti che porterà alla perdita di quasi 100mila unità rispetto ad oggi. Un’emorragia demografic­a che sconquasse­rà la società bresciana e muterà alla radice l’orizzonte a cui siamo abituati. Fare i conti con centomila bresciani in meno e con una popolazion­e di ultraottan­tenni che passerà da 40mila a 67mila unità, significhe­rà ridisegnar­e il welfare, riscrivere percorsi formativi, uso degli spazi pubblici, valori immobiliar­i. Serviranno geriatri e non pediatri, badanti e non maestri, case di riposo e non asili, casecomuni­tà e non alloggi privati. A meno che la storia prepari una delle sue astuzie, una insperata ripresa della natalità. Di cui oggi, però, non si vede traccia. Così come non si vede traccia di politiche che sappiano incoraggia­rla.

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