Martina Caironi «Mai mollare»
La campionessa paralimpica incontrerà gli studenti bresciani
Martina Caironi, nel 2007 ha perso una gamba in un incidente. «Non mi sono mai arresa» dice la campionessa paralimpica che martedì parlerà agli studenti nell’incontro organizzato da Fondazione Corriere.
Da un momento all’altro la sua vita è cambiata, ma Martina Caironi ha semplicemente deciso di non piangersi addosso. Quando ti risvegli in ospedale senza una gamba e «ti rendi conto che avresti potuto perdere la possibilità di fare tutto, ma hai perso solo la capacità di fare qualcosa, allora vuoi provare tutte le altre cose che ti rimangono».
Martina, classe 1989, è stata amputata nel 2007 per un incidente in moto causato da un pirata della strada. Una grande forza di volontà e l’aiuto dei genitori le hanno permesso, anche se i momenti bui non sono mancati, di non cedere allo sconforto. La giovane pallavolista ha trovato la sua strada nell’atletica. È la più forte sprinter del mondo della sua categoria e la prima donna amputata sopra il ginocchio ad aver corso i 100 metri sotto i 15 secondi (14”61). Ha ottenuto due medaglie d’oro e una d’argento in due edizioni dei Giochi Paralimpici (Londra 2012 e Rio 2016). Fra salto in lungo e 100 metri ha vinto in tre Mondiali 5 medaglie d’oro e una di bronzo. Ha conquistato i recenti Europei a Berlino (con il nuovo record mondiale di categoria in entrambe le specialità). Oggi gira l’Italia (sacrificando lo studio: è iscritta a Lingue, culture e mercati dell’Asia) per offrire la testimonianza di «una persona che ha saputo guardare avanti» non indietro. E martedì il suo racconto sarà al centro della mattinata promossa dalla Fondazione Corriere della Sera e da Esselunga. Dalle 10 alle 12 al San Barnaba gli studenti delle superiori si metteranno in ascolto nell’evento «Cose dell’altro mondo: la disabilità nella storia».
«Cercherò — confida — di raccontare ai ragazzi che cosa
Dopo l’incidente, anche grazie alla mia famiglia, ho saputo guardare avanti
significa essere un’atleta paralimpica». Il messaggio è quello di «chi ha voluto riprendere in mano la propria vita, essere normale, praticare sport e grazie alla passione arrivare a grandi traguardi».
Di fronte avrà una generazione che può sembrare un po’ assopita. «Non generalizzerei, ma certo c’è la tendenza ad utilizzare molto i social e a esporsi meno in prima persona».
Nel suo curriculum, la sprinter bergamasca ma di stanza a Bologna ha numerosi primati. A Rio è stata anche la portabandiera della spedizione azzurra. Si allena quattro volte alla settimana, ponendo attenzione alle problematiche legate alla protesi. È innegabile che qualcosa sia cambiato in positivo anche nella cultura del Paese.
«C’è molto più interesse. Pancalli (presidente del Comitato Italiano Paralimpico, nda) insiste molto su un punto: lo sport paralimpico non va visto come mezzo di riabilitazione, ma è molto di più. È sport ad alto livello».
Nel suo futuro ci sono i Mondiali di Dubai del 2019 e i Giochi di Tokyo. «L’attività mi impegna molto. Cerco di arrivare sempre più in alto attraverso il sacrificio». Non ha modelli particolari, ma da tutti cerca di apprendere le caratteristiche migliori: «La professionalità, la capacità di seguire una dieta curata e la serietà...».
Martina è impegnata anche nel sociale perché la vita («la molla che mi ha permesso, insieme all’aiuto dei genitori, di correre») è preziosa a tutte le latitudini. La Fondazione Fontana onlus, di cui è testimonial dal 2016, aiuta in Kenya la struttura St. Martin («ho visto con i miei occhi il lavoro che fanno») che «porta speranza» con un’azione di accoglienza dei disabili e di reinserimento tra gli altri degli alcolisti. Ripartire è importante e se qualcuno ti tende una mano, forse, si sente meno la fatica.