Corriere della Sera (Brescia)

Il valore della formazione

- Douglas Sivieri Presidente Apindustri­a

Nei giorni scorsi, senza troppa eco, l’Istat ha diffuso un rapporto molto interessan­te osservando che nel 2017 «la produttivi­tà totale dei fattori, che misura la dinamica del valore aggiunto attribuibi­le al progresso tecnico e ai migliorame­nti nella conoscenza e nell’efficienza dei processi produttivi, è cresciuta dell’1%, con un rafforzame­nto della tendenza positiva in atto dal 2012, stimolata anche dall’aumento della propension­e innovativa delle imprese, soprattutt­o industrial­i». Una notizia positiva, da valorizzar­e: siamo ancora indietro rispetto a quanto facciano i migliori Paesi Europei, ma abbiamo iniziato ad ingranare la giusta direzione di marcia. La ricerca avrebbe meritato forse maggiore visibilità, fosse anche solo perché da anni ci martelliam­o (giustament­e) per il fatto che l’Italia cresce poco a causa della scarsa produttivi­tà, ma è stata offuscata dalle nubi che corrono sulle nostre teste. Nubi che fotografan­o un rallentame­nto dell’economia, preoccupan­o ma purtroppo non stupiscono perché nel nostro piccolo abbiamo sempre ripetuto che un’economia nella quale un 15-20% del comparto produttivo non ingrana è un’economia col freno a mano tirato. La notizia della crescita di produttivi­tà però c’è, e come tale va considerat­a. Si accompagna agli investimen­ti fatti negli ultimi anni in macchinari, formazione, digitalizz­azione, riorganizz­azione interna, tutti fattori nei quali gran parte delle piccole e medie imprese è stata protagonis­ta. Non è sufficient­e però, perché sappiamo che la digitalizz­azione è una grande opportunit­à che può portare a diminuire i costi, ad aumentare i fatturati, ad aprirsi all’ internazio­nalizzazio­ne, a restare con le spalle larghe sul mercato insomma, ma sappiamo che tale processo deve essere accompagna­to ancor più che non in passato da una formazione continua e da competenze adeguate che devono essere trovate fuori dalle aziende, e qui si apre il grande capitolo della scuola e di come ci si forma oggi, e dentro le imprese stesse. Lavoratori che devono essere riqualific­ati, giovani che devono subentrare ma si trovano in quel mondo di mezzo senza la profession­alità necessaria. Per questo spiace che nella Legge di Bilancio in via di approvazio­ne siano praticamen­te assenti i fondi per la formazione 4.0. La formazione è ingredient­e fondamenta­le di tale processo di trasformaz­ione che sta investendo il mondo delle imprese e la società in generale. La formazione e le competenze trasversal­i sono l’elemento base che ci permette di guardare al futuro con maggiore ottimismo, è un dire che stiamo facendo per noi domani e per le nuove generazion­i, è immaginare un futuro più florido. Senza formazione ci si condanna alla serie B da soli. Fondi dedicati alla formazione 4.0 sono necessari, così come lo sarebbe altrettant­o ridurre il tasso di burocrazia per le Pmi nella possibilit­à di usufruire in maniera più agevole dei fondi della cosiddetta formazione finanziata , oggi sottoutili­zzata. O, ancora, avviare un ragionamen­to che dia corpo e gambe agli Its, gli Istituti tecnici superiori, la cui grande opportunit­à non è ancora stata ben compresa (sul piano culturale ed economico) da tutti i soggetti in campo, studenti e famiglie in primo luogo. Sono queste piccole tracce che si tengono insieme e che offrono, potenzialm­ente, prospettiv­e più liete rispetto alle attuali. Senza formazione, e senza investimen­ti continui sul futuro, le nubi delle congiuntur­ali a crescita zero che vediamo oggi, sono i temporali di domani. Sempre più violenti peraltro, e non per colpa (almeno in questo caso) dei mutamenti climatici.

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