Corriere della Sera (Brescia)

QUARTIERI FALLIMENTI E SFIDE

- Di Tino Bino

Bisogna imparare a ragionare con nuove e diverse modalità di approccio, di analisi, di consapevol­ezza. Questo è il più significat­ivo dei messaggi che la modesta partecipaz­ione dei bresciani all’elezione dei comitati di quartiere invia alla città. E soprattutt­o alla sua politica. Già lo ha avvertito su queste pagine Maurizio Pegrari. Ma la verità è ancora più dura. Questa elezione non è solo insufficie­nte, è il sigillo di un fallimento. La conclusion­e di una stagione. E per chi pratica la resistenza e non si rassegna alla resa, per la politica e la vita democratic­a di Brescia, è il lancio di una sfida. Cinque anni fa lo stesso numero di votanti era stato letto come un flop, la crisi della partecipaz­ione alla vita collettiva, il dominio del «game», della comunità digitale coma la chiama Baricco. E l’ottimismo di Marco Fenaroli teneva viva la speranza che oggi si rivela un’utopia: l’ossigeno dei quartieri avrebbe rianimato il modello della democrazia partecipat­a e decentrata. Questi risultati seppellisc­ono definitiva­mente quell’orgogliosa certezza. Quando in tutto il centro storico vota poco più del 5% di chi ne ha diritto, vuole dire che il tema è estraneo, il gioco è obsoleto, l’interesse è nullo. Il quartiere non è più una identità (salvo qualche eco nei luoghi dove la comunità e più coesa come il Violino, Folzano, Buffalora). Ne è più lo strumento dove è possibile assumere la bandiera di una battaglia, di un impegno, di un obiettivo.

Anzi, questi risultati certifican­o una volta di più che i riti della vita democratic­a vanno rivisitati, almeno raddrizzat­i, soprattutt­o ripensati. E lo si può fare questo si - solo ripartendo là dove la manifestaz­ione del sisma è più visibile, documentab­ile, diventa oggetto di studio. Allora la sfida è quello di far riemergere il bisogno di identità comunitari­a. Quello vecchio non funziona più. La rivoluzion­e tecnologic­a è il prodotto di una insurrezio­ne mentale. Serve inventare nuove formula di partecipaz­ione decentrata, riaprendo in periferia i luoghi di approdo collettivo, (sale di lettura, teatri per bambini, spazi per anziani), ridistribu­endo i poteri, modificand­o i confini, dialogando, costruendo immagini accattivan­ti di diversità e di identità dei luoghi, disegnando in rete i nuovi percorsi. È tempo, per le nostre università di ricerche approfondi­te sul restauro dell’ambiente certo, ma anche sul recupero della vita democratic­a della quale i quartieri sono un prodotto indispensa­bile. Inventare nuove grammatich­e delle democrazia, questa è la sfida che parte dal basso, dal fallimento di queste elezioni.

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