Corriere della Sera (Brescia)

Abass a 360 gradi «Ringrazio Allah Amo la mia Italia e ignoro i razzisti»

- Bertelli

Ha 25 anni, gioca nella Germani, ha la testa di un saggio dentro un fisico scolpito nel marmo. È musulmano, figlio di genitori africani, ma è nato in Italia e qui è cresciuto come uomo e come atleta, sino a raggiunger­e (a soli 18 anni) la maglia della nazionale. «Abi» spiega la sua storia e l’Italia che vorrebbe.

La testa di un vecchio saggio, molto più maturo dei 25 anni che indica la carta d’identità. Il fisico esplosivo che si abbina a uno stile di gioco con le movenze di un ballerino. La maglia azzurra tatuata sulla pelle nera. Italiano, non per colpa sua solo dai 18 anni, e musulmano praticante. Awudu Abass, pilastro della Germani, è un giocatore speciale anche per le sue contraddiz­ioni, tali in realtà solo per chi osserva il mondo con gli occhi viziati dal pregiudizi­o. È la prova vivente che si può essere l’uno e l’altro, senza una barriera che divida cosa è giusto da cosa è sbagliato.

A proposito di giusto e sbagliato, le ultime due vittorie hanno cambiato la stagione?

«Potrebbe esserci stata la svolta. Attenzione, però: eravamo già convinti di aver trovato la quadratura prima della sconfitta a Trento, cui seguirono quelle con Andorra e Brindisi. Abbiamo parlato molto tra di noi e lavorato duro: ora (domani, alle 12, delicata trasferta a Pistoia), il gruppo sta ingranando e stiamo rispondend­o bene alle richieste del coach».

É cambiato il vostro gioco? «In attacco non ci capivamo, c’erano tanti giocatori da integrare e poco tempo per farlo. Mancava fluidità, nelle ultime settimane invece siamo stati noi a imporre il ritmo aumentando l’aggressivi­tà difensiva. Poi, diciamolo: abbiamo perso tre gare sulla sirena, fossero andate in altro modo non si sarebbe mai parlato di crisi. Ogni tanto bisogna partire in salita: i veri uomini si vedono mentre scalano le montagne, non in discesa».

Dicembre è già un mese decisivo?

«Nel basket lo è sempre. Si decidono le qualificaz­ioni in Europa, c’è l’accesso in Coppa Italia da conquistar­e. Ma, se giochiamo così, sono ottimista per i nostri obiettivi».

Quando vedi azzurro, come a Brescia con la Lituania, ti scateni: cosa scatta?

«Innanzitut­to mi trovo molto bene con il sistema di Sacchetti: responsabi­lizza lasciando allo stesso tempo libertà. Poi, il mio rapporto con la nazionale è particolar­e: io ho sempre voluto indossare quella maglia, ma ho potuto farlo solo a 18 anni quando ho avuto la cittadinan­za...».

È una legge che ha ancora senso? La cambierest­i?

«Sapevo quali fossero le regole, ma non penso abbia senso che un ragazzo a 16 anni debba essere costretto a guardare i coetanei sul computer senza scendere in campo con loro. Il tutto perché è nato in Italia, ma da genitori africani. In altri stati è diverso, spero che le cose cambino».

Che rapporto hai con la religione?

«Sono musulmano, prego 5 volte al giorno, non pratico il Ramadan perché coincide sempre con il momento clou della stagione. È una cosa molto profonda e personale: se sono pacato e rispettoso, lo devo anche all’Islam. Per questo, dopo una vittoria o un momento significat­ivo della mia vita, ringrazio Allah».

Ti sei sentito discrimina­to, in passato, per questo?

«In Italia quella fase è passata, adesso prevale la paura per gli immigrati. Sui social leggo tanti brutti commenti: mi ha dato fastidio la discrimina­zione verso i giocatori di origine africana della nazionale francese di calcio. Mi sono immedesima­to in loro». L’Italia è un paese razzista? «Avverto una ventata d‘odio per chi viene definito diverso. Ma generalizz­are è sbagliato. Io, ad esempio, solo in un paio di occasioni ho vissuto episodi particolar­i. In spiaggia mi urlarono «negro di m...» e un amico voleva difendermi. Lo bloccai. Scrollare le spalle di fronte all’ignoranza è la risposta migliore: la mia famiglia e la mia religione mi hanno educato a questo».

Quanto ti ha aiutato la pallacanes­tro per farti valere?

«Tantissimo. In primis, nel nostro sport, ci sono stati molti giocatori neri in azzurro prima di me. Il basket è meno arretrato e, se sei forte nello sport che pratichi, acquisisci più rispetto. A me è capitato». Cosa auspichi per il futuro? «Vorrei non fosse discrimina­to chi viene a cercare un futuro. Il razzismo equivale a un ritorno al passato, la mia Italia deve guardare avanti».

"Germani C’è stata la svolta, gli uomini veri si vedono in salita e non in discesa

La religione Sono musulmano Se sono rispettoso, lo devo all’Islam

L’Italia Sono nato qui, trovo sbagliato ottenere la cittadinan­za a 18 anni

 ??  ?? Pilastro Il comasco, 25 anni, a Brescia da luglio. è fondamenta­le per coach Diana (LaPresse/Morgano)
Pilastro Il comasco, 25 anni, a Brescia da luglio. è fondamenta­le per coach Diana (LaPresse/Morgano)
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