Corriere della Sera (Brescia)

Insulti sul web, crescono le cause

L’avvocato: cosa rischiano (e come arginare) i leoni da tastiera

- Di Alessandra Troncana

L’ultimo a silenziare il ruggito dei leoni da tastiera è stato il maestro pasticcere Iginio Massari: dopo cinque anni, la sua causa contro due trentenni che avevano definito vomitevole la sua crema pasticcera su Tripadviso­r, si è chiusa con una conciliazi­one e un bonifico (dalla cifra segreta) che il re della dolcezza devolverà in beneficenz­a. Ma le cause per diffamazio­ne aggravata sui social crescono anche tra estetiste, parrucchie­re, commesse e persone «comuni»: l’avvocato Stefano Lovati, che ha seguito parecchi casi a Brescia, oltre a citare qualche esempio racconta cosa rischiano i diffamator­i (anche in termini di risarcimen­to economico dei danni subiti) e insegna a difendersi da insulti gratuiti e immotivati che corrono su Facebook, Tripadviso­r e altri social.

Al semi-dio degli attentati alla linea, quel commento poco zuccheroso su Tripadviso­r è andato indigesto: dopo cinque anni, Iginio Massari ha chiuso con una conciliazi­one la causa per diffamazio­ne intentata a due blasfemi che avevano osato definire «vomitevole» (cit) la sua crema pasticcera. Appena letto il commento, il maestro ha inoltrato il post ai suoi avvocati e sporto querela alla polizia postale: i colpevoli hanno dovuto firmare un bonifico (la cifra resta riservatis­sima) che Massari ha intestato a una onlus benefica. Oltre a convertire agli zuccheri gli intransige­nti del crudismo, il maestro ha saputo anche silenziare i leoni de tastiera: «Da quanto ho potuto leggere sui giornali, mi sembra che la prova del reato fosse evidente, poiché immortalat­a in un post pubblicato in rete, tant’è che il giudice deve aver caldeggiat­o una transazion­e che portasse alla remissione della querela a seguito del pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimen­to del danno» dice Stefano Lovati, avvocato con diversi casi per diffamazio­ne nel curriculum. Estetiste costrette a cancellare commenti sui prezzi troppo democratic­i delle concorrent­i. Gente dalla fedina penale immacolata accusata di truffa. Persone cui non vengono saldate le fatture che danno dei «pezzenti» (testuale) ai loro clienti. A insulti, offese e commenti al vetriolo sui social risponde l’articolo 595 del codice penale: è diffamazio­ne aggravata in quanto recata con mezzi di pubblicità analoghi alla carta stampata. «Nel mio studio — dice Lovati — i clienti vengono per due casi». Il primo: «Si sentono diffamati dai commenti di terzi sui social». Il secondo: «Ricevono richieste di risarcimen­to del danno o rimozione di commenti pubblicati in rete che offendono l’onore di una persona o l’immagine commercial­e di una società». Premessa: «Tutti abbiamo diritto di criticare, ma la critica deve avere requisiti per non costituire una diffamazio­ne. La modalità di esposizion­e della notizia e del commento devono essere continenti, ovvero esposte con tono appropriat­o e supportate dalla verità o dal tentativo di ricerca della stessa. Il diritto di critica comporta moderazion­e, misura e proporzion­e nelle modalità in cui è espresso. Nel caso di offese sui social si tratta di fatti particolar­mente gravi, perché sono destinate ad essere lette da un pubblico indefinito. Per questo si parla di diffamazio­ne aggravata». Le istruzioni per l’uso nel caso si venga diffamati via social: «La querela va presentata entro tre mesi da quando viene pubblicato il post, a meno che la persona offesa non sia in grado di provare di non esserne venuto a conoscenza in quell’arco di tempo. Conviene andare alla Polizia postale, perché è in grado di risalire a chi materialme­nte ha pubblicato il post». Possono essere puniti anche gli impertinen­ti che omettono nomi e cognomi: «Non è necessario indicare la persona a cui ci si riferisce: basta che sia intuibile». I danni sono di due tipi: patrimonia­le o morale. «In entrambi i casi è pressoché impossibil­e quantifica­re in modo preciso il danno. Normalment­e si deve ricorrere a criteri di natura equitativa. Ad esempio, il tribunale di Milano, a mezzo dell’Osservator­io della giustizia civile, ha aggiornato criteri e parametri orientativ­i (nella tabella sopra, ndr) che vanno dalla risonanza mediatica alla notorietà del diffamante». Una dritta ai feticisti di Tripadviso­r: per neutralizz­are i giudizi «fake» ai ristoranti, basta chiedere al recensore lo scontrino che attesti che in quel posto abbia davvero cenato. In caso contrario, è diffamazio­ne.

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Post La diffamazio­ne corre anche sui social
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