Insulti sul web, crescono le cause
L’avvocato: cosa rischiano (e come arginare) i leoni da tastiera
L’ultimo a silenziare il ruggito dei leoni da tastiera è stato il maestro pasticcere Iginio Massari: dopo cinque anni, la sua causa contro due trentenni che avevano definito vomitevole la sua crema pasticcera su Tripadvisor, si è chiusa con una conciliazione e un bonifico (dalla cifra segreta) che il re della dolcezza devolverà in beneficenza. Ma le cause per diffamazione aggravata sui social crescono anche tra estetiste, parrucchiere, commesse e persone «comuni»: l’avvocato Stefano Lovati, che ha seguito parecchi casi a Brescia, oltre a citare qualche esempio racconta cosa rischiano i diffamatori (anche in termini di risarcimento economico dei danni subiti) e insegna a difendersi da insulti gratuiti e immotivati che corrono su Facebook, Tripadvisor e altri social.
Al semi-dio degli attentati alla linea, quel commento poco zuccheroso su Tripadvisor è andato indigesto: dopo cinque anni, Iginio Massari ha chiuso con una conciliazione la causa per diffamazione intentata a due blasfemi che avevano osato definire «vomitevole» (cit) la sua crema pasticcera. Appena letto il commento, il maestro ha inoltrato il post ai suoi avvocati e sporto querela alla polizia postale: i colpevoli hanno dovuto firmare un bonifico (la cifra resta riservatissima) che Massari ha intestato a una onlus benefica. Oltre a convertire agli zuccheri gli intransigenti del crudismo, il maestro ha saputo anche silenziare i leoni de tastiera: «Da quanto ho potuto leggere sui giornali, mi sembra che la prova del reato fosse evidente, poiché immortalata in un post pubblicato in rete, tant’è che il giudice deve aver caldeggiato una transazione che portasse alla remissione della querela a seguito del pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno» dice Stefano Lovati, avvocato con diversi casi per diffamazione nel curriculum. Estetiste costrette a cancellare commenti sui prezzi troppo democratici delle concorrenti. Gente dalla fedina penale immacolata accusata di truffa. Persone cui non vengono saldate le fatture che danno dei «pezzenti» (testuale) ai loro clienti. A insulti, offese e commenti al vetriolo sui social risponde l’articolo 595 del codice penale: è diffamazione aggravata in quanto recata con mezzi di pubblicità analoghi alla carta stampata. «Nel mio studio — dice Lovati — i clienti vengono per due casi». Il primo: «Si sentono diffamati dai commenti di terzi sui social». Il secondo: «Ricevono richieste di risarcimento del danno o rimozione di commenti pubblicati in rete che offendono l’onore di una persona o l’immagine commerciale di una società». Premessa: «Tutti abbiamo diritto di criticare, ma la critica deve avere requisiti per non costituire una diffamazione. La modalità di esposizione della notizia e del commento devono essere continenti, ovvero esposte con tono appropriato e supportate dalla verità o dal tentativo di ricerca della stessa. Il diritto di critica comporta moderazione, misura e proporzione nelle modalità in cui è espresso. Nel caso di offese sui social si tratta di fatti particolarmente gravi, perché sono destinate ad essere lette da un pubblico indefinito. Per questo si parla di diffamazione aggravata». Le istruzioni per l’uso nel caso si venga diffamati via social: «La querela va presentata entro tre mesi da quando viene pubblicato il post, a meno che la persona offesa non sia in grado di provare di non esserne venuto a conoscenza in quell’arco di tempo. Conviene andare alla Polizia postale, perché è in grado di risalire a chi materialmente ha pubblicato il post». Possono essere puniti anche gli impertinenti che omettono nomi e cognomi: «Non è necessario indicare la persona a cui ci si riferisce: basta che sia intuibile». I danni sono di due tipi: patrimoniale o morale. «In entrambi i casi è pressoché impossibile quantificare in modo preciso il danno. Normalmente si deve ricorrere a criteri di natura equitativa. Ad esempio, il tribunale di Milano, a mezzo dell’Osservatorio della giustizia civile, ha aggiornato criteri e parametri orientativi (nella tabella sopra, ndr) che vanno dalla risonanza mediatica alla notorietà del diffamante». Una dritta ai feticisti di Tripadvisor: per neutralizzare i giudizi «fake» ai ristoranti, basta chiedere al recensore lo scontrino che attesti che in quel posto abbia davvero cenato. In caso contrario, è diffamazione.