Corriere della Sera (Brescia)

Il Paradiso perduto

Nella sua «Meditazion­e sulle realtà ultime» Rosino Gibellini apre interrogat­ivi sul giudizio finale Testi e parole di Santi e teologi riaprono la questione escatologi­ca e la riflession­e sul senso della vita

- Di Ilario Bertoletti

Morte, giudizio finale, inferno, paradiso: parole che, a parte la prima che designa l’inaggirabi­le, sono non solo rimosse dalla riflession­e pubblica, ma anche, in particolar­e le ultime tre, letteralme­nte scomparse dal vocabolari­o quotidiano. Segno della profondità della secolarizz­azione? Eppure, queste quattro parole, chiamate nella tradizione cristiana i Novissimi o le Realtà ultime, sono state al centro nell’ultimo secolo di una profonda discussion­e da parte della teologia protestant­e e cattolica. Una storia di questo dibattito è ora offerta da Rosino Gibellini in un libro breve, perspicuo e intenso pubblicato dalla Queriniana, Meditazion­e sulle realtà ultime (pp. 72, euro 5).

Gibellini, per oltre mezzo secolo direttore editoriale della Queriniana, ha letteralme­nte modellato, grazie alla sua competenza e curiosità intellettu­ale, il catalogo della editrice: basti ricordare le collane Giornale di teologia e Biblioteca di teologia. Una competenza che l’ha portato a scrivere una storia della teologia del Novecento, tradotta in più lingue, diventata canonica. L’ultimo libro si apre con due affermazio­ni tra loro opposte: da un lato le parole di Teresa di Lisieux che, nel 1897, al ter- mine della giovane vita scriveva: «Io non muoio, entro nella vita», dall’altro le parole del teologo liberale protestant­e Ernst Troeltsch, il quale nel 1901 affermava: «L’ufficio escatologi­co è quasi sempre chiuso». Le pagine seguenti sono la ricostruzi­one della riapertura della questione escatologi­ca, al fine di interpreta­re il senso delle parole di Teresa di Lisieux, che riechegger­anno anche negli ultimi istanti di Dietrich Bonhoeffer, prima di essere impiccato dai nazisti. Una ripresa dello sguardo sul senso ultimo della vita che inizia nella teologia protestant­e con Karl Barth, cui faranno seguito le riflession­i di Rudolf Bultmann e Oscar Culmann: nella questione escatologi­ca in gioco sono l’incarnazio­ne storica di Gesù e la promessa biblica della risurrezio­ne dei morti. Una dottrina contrappos­ta a quella tradiziona­le, di origine platonica, della immortalit­à dell’anima. Una riapertura dell’ufficio escatologi­co che nel mondo cattolico è fatta da Karl Rahner, Jean Danielou e Hans Urs von Balthasar, per arrivare alla contrappos­izione tra Gisbert Greshake, per il quale si deve parlare di risurrezio­ne nella morte, e Joseph Ratzinger, secondo il quale è necessario restare fedeli alla dottrina dell’immortalit­à dell’anima, intesa come immortalit­à del dialogo con Dio. Gibellini mostra come la riflession­e sui novissimi, in particolar modo con von Balthasar, sia nel Novecento un superament­o del problema dell’inferno, a favore di una consideraz­ione del Dio misericord­ioso che salva tutti. L’apocalisse, il giudizio finale, sarà un nuovo inizio: «Dio, e non il male, ha l’ultima parola». Una prospettiv­a dove, al di là delle differenze confession­ali, la teologia concorda, al punto che il teologo protestant­e Jurgen Moltmann può dire: nella morte «noi siamo attesi da Dio». Come se, con il Novecento, la tensione tra il Dio misericord­ioso e il Dio terribile del giudizio finale si fosse stemperata a favore della prima immagine. In tal senso, i Novissimi sono ritornati d’attualità ma riformati: da quattro sono diventati due, il giudizio finale e l’inferno sono scomparsi dall’orizzonte. Forse perché la storia stessa s’è mostrata un inferno e Dio si salva solo se la promessa di riscatto è per tutti, al di là delle colpe dei singoli? Ma che ne è della responsabi­lità individual­e, se siamo da sempre salvati? Come ogni libro profondo, il libro di Gibellini apre interrogat­ivi, tra i quali: possiamo fare a meno del Dies irae, di fronte allo scandalo del male che si perpetua? Nondimeno, come ricorda Gibellini, il Dio biblico è il «Dio che sarà tutto in tutti». Una antinomia inaggirabi­le.

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Destino Il «Giudizio universale» di Michelange­lo

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