I Comuni congelano le loro tasse
Montichiari, Lumezzane e molti altri non ritoccano l’addizionale Irpef, a Brescia Imu invariata
La Finanziaria prevede la possibilità di ritoccare all’insù le tasse locali ma i principali Comuni della provincia — soprattutto quelli che vanno al voto in primavera — non aumenteranno né l’addizionale Irpef né l’Imu.
È stato un decennio molto difficile per gli enti locali, iniziato con la grand» crisi del 2009 alla quale hanno fatto seguito continui tagli ai trasferimenti statali. E sempre più Comuni bresciani — per non ridurre servizi sociali e scolastici — si sono visti costretti ad introdurre l’addizionale comunale Irpef. Una tassa sul reddito delle persone fisiche, calcolata in millesimi che arriva fino allo 0,8 per mille (dai 20 ai 30 euro per lavoratore l’anno) ed in grado di garantire risorse economiche vitali. Basta guardare i numeri forniti dal ministero dell’Economia: nel 2009 erano 118 i Comuni che l’applicavano, sono saliti a 165 nel 2005; 47 paesi in più.
La maggior parte delle addizionali è stata decisa tra il 2009 ed il 2012, anni in cui la brusca frenata dell’edilizia (ma anche del comparto artigianale-industriale) non garantiva più gli oneri urbanistici di un tempo, incamerati — questo è indubbio — anche a spese del territorio, che nei dieci anni precedenti era stato soggetto ad una cementificazione selvaggia. Anche il comune di Brescia, con la giunta Paroli, nel 2011 è stato costretto ad introdurre l’addizionale Irpef allo 0,20 per mille, triplicandola l’anno successivo (0,55). Del Bono, trovandosi un bilancio in rosso per 33 milioni e dividendi A2A ridotti all’osso, nel 2013 la innalzò ulteriormente (allo 0,80) introducendo però un’esenzione per i redditi bassi (12 mila euro, 13 mila l’anno successivo). Una clausola tesa a tutelare le fasce più deboli della popolazione, adottata da molti altri comuni della provincia, che hanno introdotto anche scaglioni progressivi: più uno guadagna e più paga. È il caso di Montichiari, che nel 2014 inserisce un’addizionale con tetto massimo allo 0,6 e con tetti diversi così hanno fatto altri (da Bedizzole a Berzo Demo, passando per Desenzano). Altri municipi hanno preferito un’aliquota unica (come Adro o Lumezzane). Se il balzello è apparso ormai in 165 Comuni, si contano sulle dita di una mano i paesi nei quali è diminuito negli anni (Lonato, Mazzano, Orzinuovi, ad esempio).
Oggi sono rimasti quaranta i paesi dove non si applica l’addizionale Irpef. Qualcuno perché ha potuto contare sulle entrate extra derivanti dal settore turistico (Limone, Gargnano, Sirmione, Tremosine, Moniga, Ponte di Legno). Altri piccoli municipi (da Anfo a Irma, da Lograto a Roccafranca, da Trenzano a Pavone Mella) sono riusciti a fare le nozze con i fichi secchi, stringendo e ottimizzando le spese. Nessuno di loro, per l’anno che verrà, è intenzionato ad introdurre il nuovo balzello. Una linea di indirizzo che viene ben sintetizzata da Gabriele Zanni, presidente dell’associazione comuni bresciani: «La pressione fiscale è già elevata, meglio cercare di ottimizzare il recupero delle tasse inevase», strada che molti Comuni hanno imboccato . (p.gor.)