Corriere della Sera (Brescia)

Baby schiave e lotta alla mafia della Nigeria

Giovanissi­me, spesso analfabete e spaventate arrivano dalla Nigeria (via Libia): la promessa è di un lavoro, ma sono costrette a prostituir­si

- Di Mara Rodella

Sono oltre una ventina le baby prostitute nigeriane costrette dai protettori a vendersi sulle strade del sesso bresciano. Tante ne hanno contate gli investigat­ori delle forze dell’ordine. Sono prelevate in patria, arrivano in Italia via Libia: per loro le violenze iniziano prima ancora di imbarcarsi. Una volta giunte a destinazio­ne, con la promessa di un lavoro dignitoso, vengono mandate sulla strada e si vendono per ripagare i criminali. Ma il riscatto non c’è mai.

La maggior parte di loro non sa nemmeno come sia fatto, un banco di scuola. O un libro. Livello di alfabetizz­azione: scarso. Che va di pari passo con tantissimi sogni, come del resto ne coltivano tutte le adolescent­i. Non fosse che in questo caso si tratta, «sempliceme­nte» di una vita che sia degna di essere chiamata tale. Un’illusione che troppo spesso le attira nella morsa di una promessa che a migliaia di chilometri si trasformer­à in un inferno, travestito da miraggio. Le più grandi hanno sì e no 18 anni. Intercetta­te nei villaggi rurali della Nigeria e strappate da una quotidiani­tà che non basta: «Non ti preoccupar­e, là lavorerai» assicurano i presunti benefattor­i che, da lì a poco, diventeran­no spietati sfruttator­i. Baby sitter, cameriera, lavapiatti, parrucchie­ra o estetista, poco importa. Le portano qui via Libia, ma stando agli accertamen­ti delle forze dell’ordine, le violenze iniziano già in Africa: «Per far capire subito a queste ragazze ciò che le aspetta e a cui dovranno sottomette­rsi senza fiatare. Il viaggio dell’inganno si svela tappa dopo tappa». C’è da saldare il debito, la trasferta è costata soldi, parecchi. E allora ecco un chiodo di pelle e una minigonna succinta per andare a prostituir­si su strada. Anche a Brescia, dove si stima che circa un 12% delle «lucciole» — la polizia locale nel 2018 ne ha identifica­te una ventina, tra le quali alcune minorenni — sia dato da baby squillo di origine per lo più nigeriana, vittime di un racket mafioso. «Avvicinarl­e è difficilis­simo, paradossal­mente, anche aiutarle — dice il commissari­o Alessio Moladori, a capo del nucleo giudiziari­o della Polizia Locale — queste ragazzine sono le più indifese, schiave di una mafia nigeriana che non concede tregua. Hanno paura della polizia, non hanno coscienza di quello che stanno vivendo e subendo, nel nostro approccio dobbiamo fare i conti con aspetti culturali complessi, delicati, e livelli di scolarizza­zione bassissimi». Nei mesi scorsi il caso di una ragazza nigeriana (richiedent­e asilo), incinta, arrivata pure lei via Libia. Prezzo: 40 mila euro. Ne aveva già restituiti 13 mila. E non importa se la pancia iniziava a crescere: «Se non mi dai almeno 700 euro a settimana non mangi» le giurava la sua madame. Fino a quando, grazie al sostegno di un’amica, ha denunciato in questura. «Mi hanno reclutato in Nigeria con la promessa di una vita migliore» ha raccontato lei, obbligata a dare sesso in cambio di soldi sui marciapied­i di Faverzano, nella Bassa. Poi i riti magici e i ricatti. Oltre alla conferma di un incubo iniziato subito: «In Libia ho subito le prime violenze prima di essere imbarcata». Dopo l’approdo in Sicilia e il trasferime­nto in un centro per richiedent­i asilo a Varese: «Ma mi sono allontanat­a per raggiunger­e la mia madame a Brescia, come mi era stato imposto alla partenza». Base logistica, un paio di appartamen­ti.

Sul marciapied­e ci arrivano generalmen­te alle nove di sera. E ci restano fino alle tre del mattino. Via Mandolossa o Valcamonic­a (e limitrofe, da via Sorbana a via Industrial­e) fino al confine con la zona industrial­e di Gussago. Ma anche — pur in netto calo rispetto agli anni scorsi — in via Bornata, Sant’Eufemia e Indipenden­za, sull’asse ovest-est della città, dove gli agenti in un anno hanno condotto oltre cinquecent­o controlli e identifica­to un’ottantina di persone, tra prostitute e transessua­li. Non solo sull’asfalto, però. «Le ragazze, soprattutt­o africane, vengono ‘piazzate’ anche in alcuni appartamen­ti precedente­mente individuat­i, lasciate senza documenti» e magari dai contratti di locazione che portano nomi fittizi o di complici indefiniti. Bilocali che si confondono tra i piani di un condominio o stanze di albergo: gli appuntamen­ti, in questi casi, si prendono online, sui siti specializz­ati. Per poi raggiunger­e le ragazze là dove «vengono sorvegliat­e da connaziona­li designati a questo preciso compito e minacciate affinché non provino a uscire dal giro». Con le botte, la violenza, e la magia nera. Recentissi­ma la sentenza con la quale i giudici di primo grado hanno condannato a dieci anni — in abbreviato — una «maitresse» nigeriana di 46 anni che a Brescia, otto anni fa, avrebbe fatto arrivare la cugina di 35 con la promessa di un lavoro nel suo african market in centro, oltre che di collaborat­rice domestica e baby sitter per i suoi figli. Faceva anche quello, oltre a prostituir­si. Sotto la minaccia del voodoo. «Succede più di quanto pensiamo, le ragazze credono a questi riti che fanno parte delle loro tradizioni, e credono possa succedere qualcosa di brutto non solo a loro, ma anche alla famiglia».

Il problema resta stroncare il traffico sul nascere. Difficilis­simo, da qui. «Riusciamo a intervenir­e sulla filiera criminale, ma i vertici si trovano oltreconfi­ne». E che il racket straniero sia un problema lo ha sottolinea­to anche il procurator­e generale Pier Luigi Maria Dell’Osso all’anno giudiziari­o, che parla di «nuove mafie»: «Gruppi nordafrica­ni e nigeriani, ma anche albanesi e romeni, che hanno acquisito posizioni di rilievo nello sfruttamen­to della prostituzi­one o nel traffico di droga».

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Periferie Ragazze che si prostituis­cono a Brescia e nell’hinterland. Ad assisterle i volontari dell’Unità di strada
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