Corriere della Sera (Brescia)

Una notte per le strade

Viaggio con i volontari che assistono le ragazze La voglia di cambiare vita

- Di Michele Barbaro

Arrivano al calar della sera. Si danno appuntamen­to ogni fine settimana, attorno alle 21, nella sede della Croce Bianca di San Polo. C’è chi porta thermos con the caldo e caffèlatte, chi coperte e brioches. Nel piazzale l’autista prepara l’ambulanza - questa settimana sarà la numero 56 - per il turno che sta per cominciare. Il tempo di un saluto e di caricare tutto il necessario sull’auto lettiga, e si parte. Direzione? Le periferie della città, i vicoli, i parcheggi poco illuminati, il retro delle stazioni di servizio, tutti quei luoghi popolati dalle prostitute bresciane.

Loro sono i volontari dell’Unità di Strada. Donne e uomini di Brescia e provincia, che hanno deciso di spendere i loro venerdì e sabato sera accanto a chi per lavoro deve vendere il proprio corpo. Una volta partiti i volontari fanno il punto. «La settimana scorsa Alisha (il nome, come quello delle altre protagonis­te di questa serata è di fantasia) ha detto che vorrebbe lasciare la strada - afferma Giulia, 28 anni, assistente sociale - speriamo di incontrarl­a anche stasera, per fornirle tutte le indicazion­i». Mentre i tre volontari si confrontan­o, le luci del centro hanno lasciato il posto ai neon delle fabbriche. Mandolossa, Castegnato, Gussago.

La prima fermata è un parcheggio sterrato. Ha piovuto da poco e per terra ci sono fango e pozzangher­e. Un bidone bruciato è il segno che questo è posto di prostitute. Quando fa freddo le ragazze ci accendono un fuoco per scaldarsi. A pochi passi - siamo al confine con Gussago - un cartello proibisce ai guidatori di contrattar­e con le donne sul ciglio della strada, pena 500 euro.

Quando i volontari scendono, sembra non esserci nessuno. Passano però solo pochi secondi, ed una ragazza esce dalla penombra. Si chiama Lucy, è nigeriana ed è difficile dire se abbia più di 18 anni. Le due volontarie - Giulia e Paola - le vanno incontro. Lei le abbraccia. Dopo un’iniziale diffidenza, la ragazza decide di entrare nell’ambulanza. Desidera un po’ di caffèlatte, che prontament­e le viene offerto. I volontari le chiedono come stia. Le parole dicono “bene”, gli occhi sembrerebb­ero dire altro. Mentre Lucy si riposa per un attimo solo, si parla del più e del meno. Si parla del ballo, di quanto si ballasse in Nigeria, e quanto poco si balli qua, e per un attimo un timido sorriso illumina quel volto scuro. Poi la pausa finisce, ed il discorso si fa più serio. Lucy mostra ad una delle volontarie il seno. Sembra esserci una ciste. I volontari ricordano a Lucy che c’è un dottore che può visitarla, senza dover mostrare documenti, se mai avesse bisogno. Le danno il numero di telefono dell’Unità di Strada e le ripetono che quel numero può chiamarlo quando vuole, per ogni cosa. Poi la salutano. Lucy abbraccia le due ragazze bresciane, saluta l’autista e torna in mezzo al fango e la ghiaia del suo parcheggio. L’ambulanza riparte. «Lucy è nuova - spiegano i volontari - dobbiamo guadatari la sua fiducia. Il nostro compito d’altronde è quello di far capire a queste ragazze che c’è qualcuno pronto a prendersi cura di loro. Si parte sempre così - spiega Filippo, autista pensionato che da 7 anni guida l’ambulanza nella notte La prima cosa da fare è creare un rapporto umano con queste ragazze. Ne hanno così pochi. È molto importante per loro essere considerat­e delle persone da qualcuno. Loro che generalmen­te sono trattate solo come una merce». Nel frattempo sull’autoambula­nza è salito anche un prete. Don Lorenzo gestisce una di queste parrocchie di confine. Quando si scende nello spiazzo seguente, sono quattro le ragazze che subito si fanno in contro.

Anche loro nigeriane, anche loro vogliono una tazza di caffèlatte. Queste giovani donne conoscono bene i volontari dell’Unità di strada. Li accolgono con un grande sorriso, si direbbe con sollievo. Dopo aver bevuto e aver mangiato, don Lorenzo chiede loro di pregare assieme. Si uniscono in cerchio, si stringono la mano e recitano un Padre Nostro, in inglese. Poi una di loro inizia a cantare, le altre battono le mani, assieme ai volontari. Questo momento non dura che un minuto, ma sembra aver dato alle donne la forza per affrontare la lunga notte.

Una di loro poi chiede a Paola di parlare. Si allontanan­o, illuminate solo dal neon di un cartello pubblicita­rio. Al termine della conversazi­one si abbraccian­o. È tempo di ripartire. Chiuso lo sportello del- l’ambulanza, la volontaria spiega agli altri cosa è successo: «Miracle vorrebbe sapere se possiamo aiutarla a lasciare questo lavoro». Ovviamente la risposta è sì, ma la strada è lunga e complessa. L’Unità di strada esiste per questo. Per offrire a queste donne un’alternativ­a.

Ormai è notte inoltrata. L’ambulanza si ferma in una stazione di servizio. «Qui generalmen­te c’è Alisha - ricorda a tutti Giulia - la ragazza che la settimana scorsa ci aveva chiesto di essere aiutata». I volongnarc­i scendono speranzosi. Eppure il piazzale è vuoto. Dopo qualche secondo però scorgono la ragazza in un angolo. Si è nascosta, coperta solo di poche vesti. Non vuole parlare e non vuole avvicinars­i. Una delle volontarie cerca di andarle incontro. Lei urla di starle lontano. Paola, la volontaria, insiste. Una macchina però si mette di mezzo.

Alisha si china sul finestrino. Poi guarda la volontaria negli occhi e sale sull’auto. Un cliente. Ora sotto le luce del benzinaio i volontari sono restati da soli. Ci spiegano quanto è appena accaduto: «Capita spesso che le ragazze che ci chiedono di essere aiutate, la settimana dopo non vogliono più avere a che fare con noi. Sono le “maman” che le obbligano, le donne che gestiscono il racket, le minacciano e le costringon­o a continuare a vendersi».

L’ambulanza, nel frattempo, ha ripreso il suo viaggio. Nel corso della notte saranno decine le tazze di caffèlatte che verranno versate. Decine di volti, di storie, di timidi sorrisi. C’è chi non riesce nemmeno a comprare il pane ai suoi figli, chi spera di tornare a casa e aprire un ristorante. Chi non parla, e chi canta assieme ai volontari. Poi l’ambulanza termina il suo giro. Anche questa volta ci sono stati incontri felici ed altri meno. Per ogni passo indietro, un piccolissi­mo passo avanti. Il popolo delle periferie, nel frattempo, è ritornato a nasconders­i con tutti i suoi demoni, nella penombra dei parcheggi. Sono circa le due di notte ed i volontari sono tornati nella sede della Croce Bianca. I thermos ormai sono vuoti, le coperte sgualcite. I ragazzi puliscono l’ambulanza e si apprestano a tornare a casa. Prima di salutarli chiediamo loro perché fanno tutto questo. La risposta, in fin dei conti, è la stessa per tutti: «Perché ognuno si merita un po’ d’umanità».

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Periferie Così il fotografo Damiano Rossi vede il lavoro dell’Unità di strada che di notte assiste le giovani prostitute nigeriane che popolano le direttrici principali della periferia e dell’hinterland cittadino. Una bevanda calda, una parola e una preghiera

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