«Mara» Cagol, storia di una ragazza con il mitra
Il titolo rimanda a una filastrocca: «Avevo un bel pallone rosso e blu, ch’era la gioia e la delizia mia. S’è rotto il filo e m’è scappato via, in alto, in alto, su sempre più su. Son fortunati in cielo i bimbi buoni, volan tutti lassù quei bei palloni». È stata scritta nel suo diario da Margherita «Mara» Cagol bambina, che poi sarebbe diventata con il compagno Renato Curcio una delle fondatrici delle Brigate Rosse. Vincitore del premio Riccione 2009, del premio Golden Graal 2010 e del premio Molière per l’allestimento francese, ecco il testo di Angela Demattè, Avevo un bel pallone rosso, nella nuova versione portata in scena da Carmelo Rifici e con l’interpretazione di Andrea Castelli e Francesca Porrini. La produzione Ctb, LuganoInScena e Teatro Piemonte Europa,in coproduzione con Lugano Arte e Cultura sarà sul palco del Teatro Mina Mezzadri Santa Chiara da stasera all’11 febbraio. «Sono fedele alla drammaturgia della Demattè — ci dice Carmelo Rifici, additato come uno dei registi emergenti del teatro italiano —. Sulla scena si assiste al dialogo generazionale e ideologico tra un padre e una figlia. Una rapporto affetto umano e politico che passa dall’affetto al distacco, perché lui, burbero e tradizionalista, non ha gli strumenti per capire la scelta estrema della giovane. Margherita/Mara è una persona divisa in due parti, due corpi, due nomi, due città, Trento e Milano. Da una parte abbiamo la ragazza di montagna educata secondo principi cattolici, la studentessa che parla in dialetto e non rientra mai dopo le sette di sera, dall’altra la compagna Mara, intelligentissima e radicale terrorista con il mitra in mano, che abbandona il dialetto in favore di un linguaggio sempre più burocratico e militare al contempo. Mara che, per andare incontro al suo destino, deve congelare il suo amore per il padre e spersonalizzarsi. Sul palco sono postati due schermi; in uno transita la cronaca di quegli anni ‘70, sull’altro appare un lavoro di video arte con l’intento metaforico e con le canzoni di Don Backy e Celentano che risuonano come un presagio. Lo spettacolo tratta dell’impossibilità del linguaggio, che si palesa nel cancro alla bocca che ucciderà il padre, bocca dalla quale non uscirà mai la parola Amore, e nella perdita della lingua natale di Margherita, senza la quale è impossibile veicolare gli affetti più cari».
Biglietto intero euro 16.