Corriere della Sera (Brescia)

Centro rimpatri Slitta all’estate la conversion­e di via Corelli

Il Cpr verso il battesimo a giugno

- di Pierpaolo Lio

La terza vita della «cittadella» di via Corelli non dovrebbe iniziare prima di metà anno. I lavori per riconverti­re la struttura all’estrema periferia est di Milano vanno per le lunghe. Il nuovo Cpr, il centro di permanenza per il rimpatrio che raccoglier­à gli stranieri da espellere da tutta la Lombardia, erede dell’antico Cie, centro per l’identifica­zione e l’espulsione, nei piani del Viminale doveva aprire a metà dicembre, poi a gennaio. Ora la data più probabile si è spostata a giugno. Una volta svuotato da tutti i quasi 400 migranti ospitati, il cantiere è stato affidato agli uomini del genio militare, che dovranno «fortificar­e» mura, finestre e camerate, per ristabilir­e quelle misure di sicurezza necessarie a trattenere le persone destinate al rimpatrio forzato.

È un ritorno alle origini. Il centro aveva già vissuto per oltre quindici anni una prima fase securitari­a. L’inaugurazi­one risale al lontano 1998. Apre sotto un’altra sigla ancora, Cpt, centro di permanenza temporanea: è qui che i clandestin­i sono costretti a restare per mesi in attesa di un’identifica­zione e dell’organizzaz­ione del viaggio di sola andata per i Paesi d’origine. Quell’esperienza finisce sotto il peso delle rivolte in sequenza, degli incendi e degli innumerevo­li danneggiam­enti che avevano finito per rendere inagibili gli spazi. Alla fine del 2013, quello che la sinistra considerav­a «lager» di Stato si arrende. La chiusura, però, è solo momentanea.

Dopo pochi mesi la struttura subisce una rivoluzion­e. Nel 2014 ha il suo primo cambio di pelle: rinasce come centro d’accoglienz­a straordina­rio per richiedent­i asilo. Una decisione sollecitat­a dall’amministra­zione comunale (sotto il mandato di Giuliano Pisapia) per sfruttare un immobile in quei giorni abbandonat­o e dare così una boccata d’ossigeno alla città alle prese con il periodo più critico dell’emergenza profughi. La parentesi «umanitaria» dura però giusto quattro anni. Gli arrivi di profughi ridotti al minimo hanno diminuito la «fame» di posti letto che aveva spinto Palazzo Marino e la prefettura a riconverti­re le camerate di via Corelli.

Fin dal primo giorno le intenzioni del ministro dell’Interno Matteo Salvini sono state chiare: «Diventerà un altro centro per le espulsioni, perché dopo aver ridotto gli sbarchi, stiamo lavorando come matti per aumentare le espulsioni», ha ribadito per mesi il leader leghista. Nonostante la contrariet­à del Comune all’idea di un ritorno al passato: «Se non c’è più bisogno di un centro per richiedent­i asilo allora quella struttura va restituita alla città per poter far sì che vengano ospitate lì persone senza casa», ha protestato l’assessore comunale al Welfare, Pierfrance­sco Majorino. Nel frattempo i quasi 400 richiedent­i asilo ancora ospitati nel centro sono stati smistati in altre strutture. Dall’estate, al loro posto entreranno le persone da rimpatriar­e (a capacità sarà ridotta a 130 posti).

In vista della riapertura, intanto, la rete antagonist­a milanese, associazio­ni e i partiti della sinistra radicali sono già tornati più volte a manifestar­e davanti ai cancelli di via Corelli. E saranno di nuovo in strada il 16 febbraio al grido «No Cpr». «Sono strutture peggiori delle carceri — sostengono i promotori — dove vengono recluse persone che hanno la sola colpa di essere nate dalla parte sbagliata del Mediterran­eo».

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La struttura L’ex Cie di via Corelli sarà trasformat­o in centro per i rimpatri

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