Ajmone: la danza disegna nuove geografie
Gesti rapsodici. Sussulti improvvisi e respiri che sfiorano la platea. Spazi dilatati, architetture precarie e un corpo che si muove sul confine, dentro e fuori, disegnando geografie interiori. Quello di Annamaria Ajmone è un viaggio fisico e cerebrale intorno al mondo: una danza in bilico su linee immaginarie che assorbe, asseconda e reinventa lo spazio attorno con un passaggio fugace. Trigger, la sua performance, viene ridisegnata ogni volta da capo (o quasi): è un’azione che arriva, prende una forma imprevedibile e, alla fine, si dissolve senza lasciare tracce.
«Un viaggio in tante temperature e climi diversi» (cit) che sabato, per il Teatro Grande, lambirà il Coro delle monache, in Santa Giulia (alle 18.30 e alle 20; è possibile una visita al museo; teatrogrande.it).
Con il pubblico come complice, seduto intorno a un perimetro ideale, un ritmo tribale (la musica è una delle poche parti fisse della perfomance) e il suo flusso di coscienza, Ajmone cambierà la percezione dello spazio: «La scrittura — dice — si reinventa ogni volta, da un luogo all’altro». C’è un disegno iniziale, che poi subisce variazioni: «Ho un approccio architettonico, da cui poi si instaura un dialogo su più livelli. Tendo a lavorare con le forme geometriche, partendo dalla pianta e dall’altezza del luogo e inscrivendo altre forme: rettangoli, cerchi. A Brescia, per la prima volta, sperimenterò il quadrato». Il Coro delle monache le è stato suggerito da Umberto Angelini, soprintendente del Grande: «Ha avuto una specie di illuminazione quando mi ha visto in scena a Milano. Lo trovo perfetto». Nella sua perenne esplorazione, Ajmone ha valicato confini ovunque, da Singapore al deserto del Sahara: «Ogni volta — dice — la platea ha una reazione diversa. In Trigger, del resto, il pubblico ha una parte fondamentale: c’è una sorta di scambio termico fatto di distanze e riavvicinamenti. Lo dispongo lungo il perimetro, in modo che mi senta vicina e mi veda apparire e scomparire, e che sia portato a muoversi, anche da seduto: in questa performance non c’è un unico punto di vista. Tutto avviene in poche frazioni di secondo, e ognuno ha una visione diversa. Nei miei sogni, mi piacerebbe che le persone potessero assistere a tutte le tappe di questo viaggio».
È un’anarchica della danza, allergica al palco: «Ho portato lo spettacolo in teatro, ma è una scatola nera in cui si perde l’idea di guardare lo spazio e ci si concentra troppo su di me. Vorrei, piuttosto, che fosse un’esperienza contemplativa». È quasi conclusa: a settembre, Ajmone debutterà in No rama, un lavoro corale e immaginifico sulla natura e sugli spazi futuribili.
Nuove geografie
È un viaggio in tanti climi diversi in cui, ogni volta, reinvento lo spazio