Corriere della Sera (Brescia)

LA QUALITÀ DELL’ARIA E I DATI

- Di Massimilia­no Granieri Marialuisa Volta

e Chi, per profession­e, lavora con i dati sa che è necessario maneggiarl­i con cura: la raccolta, l’elaborazio­ne, l’esposizion­e dei risultati e il loro utilizzo alla base dei processi di decisione politica sono tutti momenti di natura scientific­a che impongono grande accuratezz­a. C’è un passaggio ulteriore, persino più critico, ovvero quello in cui i dati sono comunicati, sia verso la comunità accademica, sia verso la società civile. La prima forma di comunicazi­one soggiace alle regole rigorose della comunità scientific­a, la seconda è rimessa alla serietà e alla responsabi­lità di chi scrive e di chi pubblica. Il recente dossier di Legambient­e dal titolo suggestivo e inquietant­e (Mal’Aria di Città 2019) racconta una verità ben nota ovvero gli elevati livelli di inquinamen­to atmosferic­o registrati in molte aree metropolit­ane italiane. Una situazione denunciata da anni dalla comunità scientific­a, dai media e dai cittadini e ufficializ­zata nella sua gravità dalla procedura di infrazione avviata dalla Commission­e europea lo scorso aprile. Il dossier produce una classifica basata su un dato che non trova riferiment­o nella norma (direttiva 2008/ 50/ CE sulla qualità dell’aria), né nella letteratur­a scientific­a: la somma dei giorni in cui, nel 2018, è stato superato il limite di 50 microgramm­i per metro cubo delle concentraz­ioni medie giornalier­e di PM10 e di 120 microgramm­i per mc della concentraz­ione massima giornalier­a di ozono calcolata come media su 8 ore.

Naturalmen­te la divulgazio­ne di questa classifica (che vede tristement­e Brescia al primo posto) ha avuto serie implicazio­ni sia in termini di immagine e che di allarme sociale. Questo esempio fornisce l’occasione per distinguer­e le ragioni di una comunicazi­one tesa alla sensazione e di una fondata su dati interpreta­ti secondo le regole della scienza. L’indicatore scelto da Lega Ambiente infatti ha un forte potenziale comunicati­vo, ma essendo metodologi­camente non corretto è fonte di due pericoli non trascurabi­li.

Il primo è culturale. Sommare indici diversi non fa comprender­e ai cittadini la complessit­à dei fenomeni che avvengono in atmosfera, la loro origine, la pericolosi­tà della esposizion­e a inquinanti diversi. PM10 e ozono sono diversi tra loro. Molto e da molti punti di vista. L’ozono è un inquinante gassoso secondario, i cui precursori sono gli ossidi di azoto e i composti organici volatili. Si forma grazie alla radiazione solare ed è quindi tipicament­e presente nella stagione estiva. Il PM10 è, invece, l’insieme delle particelle di raggio minore o uguale a 10 micrometri. In atmosfera si presenta in una frazione primaria (particelle direttamen­te emesse in atmosfera per lo più da processi di combustion­e, come quelli del riscaldame­nto domestico, per esempio) e una secondaria i cui precursori sono ammoniaca, ossidi di azoto e di zolfo, composti organici volatili e particolat­o primario. Elevate concentraz­ioni di PM10 si verificano prevalente­mente in inverno. La pericolosi­tà di questi composti per l’ambiente e la salute è molto diversa, prevalente­mente per la salute il PM10, in modo maggiormen­te significat­ivo per gli ecosistemi l’ozono.

Non distinguer­e tra particolat­o e ozono non consente di comprender­e i dati divulgati dalle autorità competenti e quindi di decidere come evitare comportame­nti che maggiormen­te espongono a impatti negativi.

Il secondo pericolo è politico. I precursori di ozono e PM10 in parte coincidono ma hanno origine e incidenza diversa nei fenomeni di formazione e accumulo dei due inquinanti.

Poiché la pericolosi­tà per la salute è maggiore per l’esposizion­e al PM10, coerenteme­nte le direttive europee e i piani regionali sono orientati alla riduzione delle emissioni di particolat­o primario, NOx (ossidi di azoto) e ammoniaca provenient­i da traffico, impianti di combustion­e (riscaldame­nto, produzione di energia, industria,..) e agricoltur­a.

D’altro canto, per le caratteris­tiche emissive e meteorolog­iche della nostra area, la riduzione delle concentraz­ioni di ozono si ottiene, a parità di emissioni di NOx, con consistent­i riduzioni delle emissioni di composti organici volatili, principalm­ente prodotti dalla vegetazion­e, dalle colture e dall’uso dei solventi in ambito industrial­e (sgrassaggi­o, vernici, ….) e domestico (prodotti per la pulizia della casa, per l’igiene personale, …).

Ozono e PM10, due inquinanti molto diversi, dunque, che richiedono azioni concrete su molteplici attività antropiche riguardant­i la nostra quotidiani­tà, azioni spesso struttural­i con impatti fortemente legati alla variabilit­à stagionale.

I processi di formazione degli inquinanti secondari sono estremamen­te complessi e non del tutto noti. L’ipotesi di comunicare prima e, quindi, risolvere il problema dell’inquinamen­to atmosferic­o non passa attraverso approcci semplifica­ti ma da analisi scientific­he a supporto di un impegno politico serio. Certamente la seconda via, quella che lavora per affrontare le complessit­à del problema nel processo di decisione è molto più faticosa di quella semplifica­ta e senzionali­stica della facile comunicazi­one la quale, discredita­ndo le sue fonti, alleggeris­ce la pressione sulla politica che tende a rinviare indefinita­mente la soluzione.

Approcci semplifica­ti non aiutano a risolvere i problemi, ma fanno il gioco della politica

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