LA QUALITÀ DELL’ARIA E I DATI
e Chi, per professione, lavora con i dati sa che è necessario maneggiarli con cura: la raccolta, l’elaborazione, l’esposizione dei risultati e il loro utilizzo alla base dei processi di decisione politica sono tutti momenti di natura scientifica che impongono grande accuratezza. C’è un passaggio ulteriore, persino più critico, ovvero quello in cui i dati sono comunicati, sia verso la comunità accademica, sia verso la società civile. La prima forma di comunicazione soggiace alle regole rigorose della comunità scientifica, la seconda è rimessa alla serietà e alla responsabilità di chi scrive e di chi pubblica. Il recente dossier di Legambiente dal titolo suggestivo e inquietante (Mal’Aria di Città 2019) racconta una verità ben nota ovvero gli elevati livelli di inquinamento atmosferico registrati in molte aree metropolitane italiane. Una situazione denunciata da anni dalla comunità scientifica, dai media e dai cittadini e ufficializzata nella sua gravità dalla procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea lo scorso aprile. Il dossier produce una classifica basata su un dato che non trova riferimento nella norma (direttiva 2008/ 50/ CE sulla qualità dell’aria), né nella letteratura scientifica: la somma dei giorni in cui, nel 2018, è stato superato il limite di 50 microgrammi per metro cubo delle concentrazioni medie giornaliere di PM10 e di 120 microgrammi per mc della concentrazione massima giornaliera di ozono calcolata come media su 8 ore.
Naturalmente la divulgazione di questa classifica (che vede tristemente Brescia al primo posto) ha avuto serie implicazioni sia in termini di immagine e che di allarme sociale. Questo esempio fornisce l’occasione per distinguere le ragioni di una comunicazione tesa alla sensazione e di una fondata su dati interpretati secondo le regole della scienza. L’indicatore scelto da Lega Ambiente infatti ha un forte potenziale comunicativo, ma essendo metodologicamente non corretto è fonte di due pericoli non trascurabili.
Il primo è culturale. Sommare indici diversi non fa comprendere ai cittadini la complessità dei fenomeni che avvengono in atmosfera, la loro origine, la pericolosità della esposizione a inquinanti diversi. PM10 e ozono sono diversi tra loro. Molto e da molti punti di vista. L’ozono è un inquinante gassoso secondario, i cui precursori sono gli ossidi di azoto e i composti organici volatili. Si forma grazie alla radiazione solare ed è quindi tipicamente presente nella stagione estiva. Il PM10 è, invece, l’insieme delle particelle di raggio minore o uguale a 10 micrometri. In atmosfera si presenta in una frazione primaria (particelle direttamente emesse in atmosfera per lo più da processi di combustione, come quelli del riscaldamento domestico, per esempio) e una secondaria i cui precursori sono ammoniaca, ossidi di azoto e di zolfo, composti organici volatili e particolato primario. Elevate concentrazioni di PM10 si verificano prevalentemente in inverno. La pericolosità di questi composti per l’ambiente e la salute è molto diversa, prevalentemente per la salute il PM10, in modo maggiormente significativo per gli ecosistemi l’ozono.
Non distinguere tra particolato e ozono non consente di comprendere i dati divulgati dalle autorità competenti e quindi di decidere come evitare comportamenti che maggiormente espongono a impatti negativi.
Il secondo pericolo è politico. I precursori di ozono e PM10 in parte coincidono ma hanno origine e incidenza diversa nei fenomeni di formazione e accumulo dei due inquinanti.
Poiché la pericolosità per la salute è maggiore per l’esposizione al PM10, coerentemente le direttive europee e i piani regionali sono orientati alla riduzione delle emissioni di particolato primario, NOx (ossidi di azoto) e ammoniaca provenienti da traffico, impianti di combustione (riscaldamento, produzione di energia, industria,..) e agricoltura.
D’altro canto, per le caratteristiche emissive e meteorologiche della nostra area, la riduzione delle concentrazioni di ozono si ottiene, a parità di emissioni di NOx, con consistenti riduzioni delle emissioni di composti organici volatili, principalmente prodotti dalla vegetazione, dalle colture e dall’uso dei solventi in ambito industriale (sgrassaggio, vernici, ….) e domestico (prodotti per la pulizia della casa, per l’igiene personale, …).
Ozono e PM10, due inquinanti molto diversi, dunque, che richiedono azioni concrete su molteplici attività antropiche riguardanti la nostra quotidianità, azioni spesso strutturali con impatti fortemente legati alla variabilità stagionale.
I processi di formazione degli inquinanti secondari sono estremamente complessi e non del tutto noti. L’ipotesi di comunicare prima e, quindi, risolvere il problema dell’inquinamento atmosferico non passa attraverso approcci semplificati ma da analisi scientifiche a supporto di un impegno politico serio. Certamente la seconda via, quella che lavora per affrontare le complessità del problema nel processo di decisione è molto più faticosa di quella semplificata e senzionalistica della facile comunicazione la quale, discreditando le sue fonti, alleggerisce la pressione sulla politica che tende a rinviare indefinitamente la soluzione.
Approcci semplificati non aiutano a risolvere i problemi, ma fanno il gioco della politica