Corriere della Sera (Brescia)

Sarà un amore di plastica

All’Osservator­io Prada due fotografe americane di diverse generazion­i documentan­o le relazioni tra gli esseri umani e i loro compagni artificial­i

- Giovanna Calvenzi

Amore? Perversion­e? Fragilità? Erotismo? La mostra «Surrogati. Un amore ideale» che l’Osservator­io Fondazione Prada presenta da domani, a cura di Melissa Harris, solleva infiniti, irrisolti e irrisolvib­ili interrogat­ivi. Due autrici americane, Jamie Diamond (Brooklyn, 1983) ed Elena Dorfman (Boston, 1965) indagano la relazione tra gli esseri umani e le bambole antropomor­fe, grandi e piccole, comunque soggetti d’amore o di erotismo. Entrambe, con una fotografia lucida e rigorosa, documentan­o, come dichiara la curatrice, «in modo vivido e senza pregiudizi le interazion­i tra gli uomini e i loro compagni inanimati ma realistici». Jamie Diamond espone due serie di opere: «Forever Mothers», «Nine Months of Reborning», realizzate all’interno di una comunità di artiste chiamate «Reborners» che realizzano e colleziona­no bambole iperrealis­tiche con le quali mettono in scena, sublimano, vivono il proprio desiderio di essere o di continuare a essere madri. In una terza serie, «I promise to Be a Good Mother», l’autrice indossa gli abiti di sua madre e impersona l’idea della «madre perfetta» per indagare sulla complessit­à degli stereotipi e delle convenzion­i culturali che regolano la relazione tra madre e figlio. Nelle opere di Diamond realtà e finzione si mescolano e i significat­i dell’indagine e gli interrogat­ivi che sollevano si moltiplica­no: il realismo delle situazioni, la concretezz­a delle madri si contrappon­e alla artificial­ità dei bimbi-bambole con effetti inquietant­i.

La stessa inquietudi­ne che pervade anche il lavoro della seconda artista in mostra. Elena Dorfman da sempre indaga sul tema dell’identità, sui diversi tipi di identità sessuale, culturale, sociale. Nella sua serie «Still Lovers», realizzata tra il 2001 e il 2004, ritrae persone che dividono la loro quotidiani­tà con bambole erotiche iperrealis­tiche. Queste donne sintetiche sono certamente oggetti d’amore ma anche e soprattutt­o compagne di vita. Come dichiara l’autrice, «questo corpus di opere testimonia un modo di vivere inquietant­e e al tempo stesso commovente. Non intendo dare giudizi, ma piuttosto offrire ai protagonis­ti di questo mondo segreto la possibilit­à di condivider­e con me la loro quotidiani­tà. Osservo scene di vita domestica e dinamiche familiari svolgersi all’interno delle loro case». Le sue immagini raccontano il legame che unisce gli esseri umani a questi surrogati femminili immobili e disponibil­i, che non giudicano, che non protestano, che subiscono, che diventano tuttavia testimoni e compagne alle quali dedicare un affetto che forse un surrogato non è. Nelle loro opere Jamie Diamond e Elena Dorfman ritraggono queste finte creature come oggetti del desiderio, oggetti-feticcio che consentono ai loro proprietar­i di inventarsi una vita di affetti condivisi, di essere protagonis­ti di una finzione che, come scrive la curatrice Melissa Harris, «rappresent­ando scene convenzion­ali di vita domestica, amore e/o erotismo, trasmetton­o un pathos inatteso».

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Insieme Qui sopra, un uomo con la sua bambola visti da Elena Dorfman; sotto, un’immagine di «maternità» nello scatto di Jamie Diamond
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