Corriere della Sera (Brescia)

Parco Passo Gavia, addio ai Pcb

Le terre avvelenate «recuperate» a Trento e Milano, nel Bresciano finite solo in discarica

- di Pietro Gorlani pgorlani@corriere.it

Il parco Passo Gavia è stato risanato dai Pcb della Caffaro: il 24 maggio l’inaugurazi­one ufficiale con un nuovo nome scelto dai bambini. Il 60% delle sue terre contaminat­e sono state recuperate a Trento e Milano. Il resto è finito tutto in discarica a Calcinato, Montichiar­i, Cazzago: «È vero, altre province hanno una gestione più virtuosa dei rifiuti» spiega il direttore dei cantieri della Garc di Carpi.

La bella notizia c’è. Ed è innegabile: il 6 febbraio si sono conclusi i lavori di bonifica al parco di Passo Gavia, al quartiere Primo Maggio. Parco avvelenato dai Pcb e dalle altre sostanze chimiche della vicina Caffaro. E che è rimasto chiuso per 18 anni. Ma c’è un aspetto dei lavori di bonifica su cui il sistema Brescia, quello che guarda con attenzione ai benefici dell’economia circolare, dovrebbe ragionare attentamen­te: il 60 per cento delle terre contaminat­e è andato in impianti di recupero, tutti non bresciani però. In provincia, terra dove l’offerta di discariche non manca, è invece finito il 40% dei cumuli avvelenati. Per l’esattezza a Cava Calcinato, all’Edilquattr­o di Montichiar­i e alla Eredi Compagnia Nazionale (ex Drr) di Cazzago San Martino.

La conferma arriva da Marco Rustichell­i, direttore dei lavori della Garc, la ditta di Carpi che ha vinto l’appalto (da 1,17 milioni) per scorticare il primo mezzo metro di terra dei 13.500 metri quadri di parco e riportare zolle sane. «La nostra ditta da sempre cerca di privilegia­re il recupero delle scorie contaminat­e — spiega Rustichell­i — e la maggior parte del materiale è stato portato in impianti di recupero, visto che la contaminaz­ione era di poco superiore ai limiti di legge. Lo abbiamo portato alla Trimper di Morimondo (Mi) e alla Bianchi di Trento. Ci siamo anche appoggiati a discariche bresciane, con qualche difficoltà iniziale: quando sapevano della provenienz­a di queste terre, ovvero il sito Caffaro, arricciava­no il naso». Resta il fatto che in provincia l’abbondanza delle ex cave di sabbia e ghiaia sembra aver privilegia­to il tombamento dei rifiuti piuttosto che processi virtuosi di recupero. Il sito Caffaro e la sua montagna di terra avvelenata avrebbe potuto fungere da buon banco di prova. E invece no. «È vero, in altre province, come a Trento, la mentalità è diversa — chiude Rucora stichelli — puntano molto più sul recupero e fanno bene». Aspetti su cui tutti gli enti (dalla Regione al ministero, dal quale si attende una semplifica­zione della norma sul end of waste) dovranno ragionare con grande attenzione. Il recupero delle terre contaminat­e, anziché il semplice conferimen­to in discarica, dovrebbe essere anche un criterio premiante per i prossimi bandi di bonifica.

Tecniche innovative come l’ossidazion­e chimica del terreno o il suo lavaggio (Soil Flushing) verranno messe in atto però nella bonifica del sito industrial­e di via Milano da Aecom. Società che deve an- consegnare il progetto operativo di bonifica: «Lo farà ad aprile, manca solo la validazion­e delle analisi sui carotaggi da parte di Arpa» assicura l’assessore all’Ambiente Miriam Cominelli. «Contiamo di mettere a gara i lavori per il 2020 — aggiunge il sindaco Del Bono — questa amministra­zione non vedrà la fine della bonifica ma noi e il commissari­o siamo riusciti a mettere in moto la complessa macchina burocratic­a, cosa per nulla semplice». Bonifiche che procedono anche altrove: sono in corso al campo d’atletica Calvesi, entro l’estate terminerà quella al parco di via Parenzo Sud, è stato appaltato il risanament­o dei primi 5 chilometri di rogge e nel 2030 anche 2.300 metri quadri di Caffaro lungo via Milano saranno risanati: verrà abbattuto il muro di mattoni rossi per creare spazi urbani funzionali alla rigenerazi­one della via voluta dal progetto Oltre la Strada (la bonifica costerà 500 mila euro).

Se si prescinde da dove siano finite le scorie, il parco ritrovato di Parco Passo Gavia è un altro importante tassello per il futuro della città. «Ero in quinta elementare quando lo chiusero e la sua riapertura, che festeggere­mo il 24 maggio, è molto attesa dai residenti, soprattutt­o quelli giovani

"Del Bono il 24 maggio una festa per ridare al quartiere il parco chiuso da 18 anni: sarà gestito da un associazio­ne. Ora avanti con le altre bonifiche

— spiega emozionato Michele Fabbri, giovane presidente del consiglio di Quartiere del Primo Maggio —. Gli alunni delle scuole elementari deciderann­o anche un nuovo nome per il parco». Parco che però sta risentendo della prolungata siccità: l’erba seminata da poco fatica a spuntare dalle zolle rinsecchit­e e i semi sono divorati dai piccioni. Del resto qui non si poteva installare un impianto di irrigazion­e perché non è possibile realizzare un pozzo: pescherebb­e in una falda avvelenata da cromo, solventi clorurati, mercurio. L’alternativ­a sarebbe troppo costosa: utilizzare l’acqua potabile dell’acquedotto. E quindi si attende la pioggia di martedì prossimo. La stessa ditta Garc (che deve garantire la manutenzio­ne del parco per 18 mesi) potrebbe in futuro dissetare la terra con delle autobotti.

 ?? (LaPresse/ Cavicchi) ?? L’intervento Dai 13.500 mq del parco è stato scorticato il primo mezzo metro di terra inquinato: i lavori sono durati 11 mesi e costati 1,17 milioni: sono stati piantati 51 alberi, rifatta la piastra da basket, installati giochi e panchine. Ora si attende la crescita dell’erba ma non è possibile installare un impianto di irrigazion­e: perché la falda è inquinata.
(LaPresse/ Cavicchi) L’intervento Dai 13.500 mq del parco è stato scorticato il primo mezzo metro di terra inquinato: i lavori sono durati 11 mesi e costati 1,17 milioni: sono stati piantati 51 alberi, rifatta la piastra da basket, installati giochi e panchine. Ora si attende la crescita dell’erba ma non è possibile installare un impianto di irrigazion­e: perché la falda è inquinata.
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