Mare Jonio: la verità di Caccia
Beppe Caccia, bresciano, a Lampedusa: «Non abbiamo infranto la legge»
Beppe Caccia, l’armatore bresciano della Mare Jonio, tra i fondatori di Radio Onda d’urto, è a Lampedusa e si preoccupa: «Non ci sono navi per i soccorsi, sono a rischio tante vite».a
Ore 20.20, 16 marzo. Sulla sua pagina Facebook il post: «Partita!». Sotto, la foto della Mare Jonio, partita da Palermo per soccorrere 49 migranti (di cui 12 minori) al largo della Libia. E finita sotto sequestro dopo aver attraccato al porto di Lampedusa per non aver rispettato il doppio alt dettato dalla motovedetta della Guardia di Finanza. Bresciano doc (ma veneto di adozione) l’armatore, Beppe Caccia, volto storico dell’antagonismo locale — in città «sono tornato proprio negli ultimi mesi» — tra i fondatori di Radio Onda d’Urto negli anni Ottanta, sempre in prima linea nelle lotte per i diritti. Ci parla proprio da Lampedusa, la voce «rotta» dalle raffiche di vento. Deciso, determinato. «Come sa è stato convalidato il sequestro della nave, ma siamo pronti per fare ricorso al Riesame per ottenere la revoca del provvedimento». E per due ragioni precise, spiega. «Perché prima di tutto riteniamo sia illegittimo e immotivato, dal momento in cui noi abbiamo agito nel pieno rispetto della legalità e del diritto internazionale, del mare e italiano». Secondo: «Ora come ora non ci sono navi da soccorso nel Mediterraneo centrale». Un’assenza che per Beppe Caccia, purtroppo, significa solo una cosa: «Ogni ora persa significa centinaia di vite a rischio proprio nel Mediterraneo». E non lo può accettare. Di certo non se ne sta con le mani in mano. «Proprio mentre le sto parlando (in serata, ndr) stiamo consegnando video e foto ai pm di Agrigento che si stanno occupando di questa vicenda: da subito ci siamo messi a completa disposizione della magistratura».
Ma lo ribadisce, che l’altro ieri procedere in altro modo sarebbe stato a suo avviso impensabile, «per le difficili condizioni meteo» che la nave stava affrontando. «Si trovava 13 miglia a sud di Lampedusa, al limite delle acque italiane. Per due volte una motovedetta della Guardia di Finanza ha intimato al comandante (Pietro Marrone) di spegnere i motori e fermarsi, a causa del divieto di ingresso in un porto italiano». Ma lo ribadisce, Caccia: «È illegittimo». In primis «per la sicurezza della navigazione, dal momento in cui parliamo di un rimorchiatore da 300 tonnellate che fermo in mare sarebbe diventato ingovernabile: c’erano due metri di onde e 49 naufraghi a bordo. Obbedire — spiega — avrebbe significato mettere a rischio l’incolumità di tutti: equipaggio e migranti. Il comandante non ha fatto altro che agire per la tutela della vita, oltre che della legge». Non solo. Il dictat delle Fiamme Gialle per l’armatore sarebbe illegittimo anche perché «per impedire a una nave battente bandiera italiana di attraccare in porto e bloccarla, serve un decreto del ministro delle Infrastrutture giustificato da un imminente pericolo per la sicurezza dello Stato. L’ho chiesto, quel decreto: non c’è».