L’apologo della lumaca
«Radioctivity» è un cortissimo metraggio del regista Beppe Marcoli: una metafora della condizione umana
Un cinema rarefatto che libera la mente dalle miserie del quotidiano, preparando il campo all’invasione delle suggestioni. Radioctivity è l’ultimo cortissimometraggio (4 min. scarsi) di Beppe Marcoli, registafilosofo bresciano tra i più appartati che alcuni anni fa Enrico Ghezzi al Festival di Bellaria definì «reggio-lynchano» ( il primo riferimento corre a Godfrey Reggio, l’autore della Trilogia qatsi).
Un cinema, il suo, in cui la parola detta è bandita, l’immagine si consustanzia con la musica e alcune didascalie offrono la traccia ai pensieri che hanno la frammentarietà dell’aforisma, dell’intuizione da sciogliere lentamente nel pensiero. Ma è soprattutto la musica che governa la trasmissione del senso .
Come in quest’opera appunto in cui la percezione di uno sgocciolamento (o di un metronomo) sfocia nella rombante sonorità elettronica e industrial dei Kraftwerk, mitica band tedesca anni ‘70 di strumentisti intellettuali ossessionati dalla meccanica e dalla tecnica, dalla velocità e dai rumori concreti. Veri eredi di Marinetti. Radioactivity è peraltro il titolo di un concept album dei Kraftwerk sull’energia nucleare, sul fascino erotico di una modernità che ha i suoi effetti indesiderati.
Sull’incombenza percussiva delle note, lo schermo ci presenta una lumaca che arranca e scivola lentamente su un crinale, sopravvivendo a intemperie ed effetti di gravità. «Da dove vengo? Devo solo strisciare. Non so perché. Dove andrò?». Queste le domande o le chiose esistenziali.
Perché la lumaca è l’uomo e ogni uomo è condannato a rotolare eternamente sulla china di una collina un macigno che, una volta spinto sulla cima, ricade sempre giù in basso. E ancora: «Cadere è morire o ricominciare da capo», a riprova che il ciclo della fatica è destinato a ripetersi all’infinito. «Tutto è natura… niente è naturale» — altra riflessione — perché è l’uomo che ha rotto un equilibrio tra la natura e ciò che non lo è più. E nel finale compaiono i «mostri», i frutti della civiltà. Il futuro rimane incerto, l’apocalisse scongiurata. Quella della cultura e degli idola tribus della postmodernità (il mito odierno dell’intelligenza artificiale) è una sfida ancora tutta da giocare. Il filosofo si interroga sui fatti, non legge il futuro.
Radioctivity, realizzato con la collaborazione di Mario Piavoli, verrà iscritto ai prossimi festival. Gli auguriamo buona fortuna. Fuori le mura Marcoli gode di stima e considerazione, nella sua città non ha ricevuto l’omaggio di una personale. E pensare che questo è il trentesimo film in trent’anni di onorata carriera fuori dai ranghi.
Colonna sonora La percezione di uno sgocciolamento sfocia nella rombante musica dei tedeschi Kraftwerk